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Frottola

Col termine “frottola” si indica un genere poetico, costituito in origine da una successione metricamente irregolare di versi – di solito brevi a rima baciata, oppure endecasillabi con rima interna – che combinano motti e proverbi seguendo il gusto del nonsenso e dell’espressivismo; successivamente, nella fioritura quattrocentesca, da una sorta di canzone a ballo prevalentemente di ottonari, detta anche “barzelletta”. Questa è costituita per lo più da una ripresa di quattro versi (es.: abba), ripetuta interamente o in parte alla fine di ogni strofa, e da una strofa di sei o otto versi (es.: cdcdda). In quanto poesia destinata alla musica, con la medesima denominazione se ne indica parimenti l’intonazione musicale: un tipo ricorrente è costituito da due episodi musicali (A, B), ciascuno diviso in due frasi e destinato a un distico (es.: ripresa AB, strofe AAB).

Ma con il titolo collettivo di “frottole” ci è stato tramandato, da varie raccolte manoscritte e a stampa, un ben più ampio e variegato repertorio poetico-musicale polifonico, in voga specificamente negli ambienti delle corti settentrionali (Ferrara, Mantova, Urbino) e in parte del Veneto nel tardo Quattrocento e nei primi del Cinquecento. In particolare, gli undici Libri di frottole stampati da Ottaviano Petrucci a Venezia e a Fossombrone tra il 1504 e il 1514 (il decimo non ci è però pervenuto) contengono, accanto alle moltissime frottole vere e proprie, anche le forme dello strambotto (ottava di endecasillabi divisa in quattro distici: la musica del primo distico si ripete identica per gli altri tre, o eventualmente con una variante nell’ultimo), del capitolo ternario (concatenazione di terzine di endecasillabi: la stessa musica intona ciascuna terzina), dell’oda (quartine in cui l’ultimo verso è di misura diversa dai precedenti: la stessa musica intona ciascuna quartina), del sonetto (14 endecasillabi articolati in due quartine e due terzine) ecc. Alla corte di Isabella d’Este, sposa nel 1490 di Francesco Gonzaga a Mantova e cantatrice e liutista essa stessa, operarono celebrati musicisti, versati nel nuovo genere polifonico della frottola, quali Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino; quest’ultimo, il quale supera tutti gli altri per numero di composizioni pervenuteci, passò nel 1505 alla corte di Lucrezia Borgia, sposa di Alfonso I d’Este duca di Ferrara; e a Ferrara operò anche Michele Pesenti.

Costituisce un settore del repertorio frottolistico quello costituito dai cosiddetti “aeri” o “modi”, ossia moduli melodici utilizzati per intonare ottave, capitoli, sonetti ecc., i quali conservano tracce di una tradizione di declamazione intonata dei versi, tipica delle corti umanistiche. Essi risultano caratterizzati da una grande semplicità nel disegno melodico e da una una stretta aderenza all’assetto metrico: l’andamento è fortemente declamatorio, quasi costantemente sillabico; le frasi tendono a coincidere con i versi, le cui sedi accentuate risultano opportunamente sottolineate. La regolarità della scansione strofica testimonia inoltre un sostanziale disinteresse per il versante contenutistico, facendo della musica un semplice veicolo di trasmissione del testo poetico. Si manifesta qui, in particolare, un principio di economia del materiale musicale proprio della tradizione improvvisativa, in ragione del quale frasi essenziali, e con interne iterazioni, sostengono lunghe successioni di versi.

Alcuni di questi caratteri, quali la semplicità e la chiarezza strutturale, sono peraltro comuni alla gran parte del repertorio frottolistico: una maggiore fioritura della linea melodica si osserva negli strambotti, di carattere più marcatamente lirico, mentre le frottole propriamente dette, di argomento anche umoristico e scherzoso, si caratterizzano per un più vivido contenuto musicale. La stratificazione polifonica vede ovunque la predominanza della voce superiore e assegna alle altre, che procedono in modo sostanzialmente omoritmico, la funzione di sostegno armonico: il basso si muove spesso per salti di quarta o di quinta (v. intervallo); alcuni collegamenti armonici risultano formulari, specialmente in sede di cadenza; netta appare infine la distinzione tra modo maggiore e modo minore (v. tonalità).

Che le voci inferiori fossero concepite quale semplice accompagnamento della melodia principale – ciò che lega una volta di più questo tipo di tradizione a quella dell’intonazione estemporanea a voce sola - è fatto che trova riscontri in sede di prassi editoriale. Nei codici, infatti, il testo poetico è sottoscritto alla sola linea del Cantus (= voce superiore). I due libri di frottole raccolte da Franciscus Bossiniensis e stampati da Petrucci nel 1509 e 1511 col titolo di Tenori e contrabassi intabulati col sopran in canto figurato per cantar e sonar col lauto provano infine come fosse prassi comune quella di realizzare con strumenti polivoci, o con gruppi di strumenti, le parti inferiori, omettendo eventualmente la voce di Alto. (MDS)

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