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Contrappunto

Il termine originariamente indicava un procedere delle varie voci “punctus contra punctum”, ossia “sovrapponendo” esattamente una nota sopra l’altra (v. glossario), anche se almeno fino alla fine del XV secolo questo non implicava ancora una “sovrapposizione” spaziale dei righi musicali e quindi delle voci, che venivano eseguite simultaneamente ma scritte in successione (v. invenzione e scrittura). La successiva evoluzione della tecnica si è tuttavia avvalsa in maniera caratteristica della disposizione in partitura. Tale evoluzione ha comportato un procedere cumulativo delle tecniche contrappuntistiche, che in ogni caso non sono mai giunte a stravolgere il significato originario del termine. Infatti anche quando le voci hanno cessato di procedere esattamente nota su nota, la regolazione dei loro rapporti reciproci ha continuato a concentrarsi sul momento della simultaneità, garantita da valori ritmici comunque multipli tra loro. Sulle varie possibili combinazioni di questi valori multipli si è fondato Fux attraverso la codifica delle cinque “specie” contrappuntistiche che troviamo nel Gradus ad Parnassum (1725), tutte poi declinate in base al numero delle parti (a due, a tre o a più parti):

- prima specie: una breve su una breve;
- seconda specie: due minime su una breve;
- terza specie: quattro semiminime su una breve;
- quarta specie: due minime su una breve con l’artificio del ritardo, per cui la prima minima proviene dall’ultima minima della battuta precedente, mentre l’ultima è legata alla prima della battuta successiva;
- quinta specie: la combinazione di tutte le precedenti specie elencate.

Come principio compositivo generale il contrappunto regola i rapporti tra voci indipendenti e (almeno in linea di principio) di pari importanza, con un’attenzione rivolta innanzitutto alla sensatezza melodica e dunque all’autonomia del profilo di ogni voce, e in secondo luogo ai rapporti intervallari che si creano tra le diverse voci. Il decorso complessivo risulta regolato da norme piuttosto rigide della conduzione delle voci, con l’intento di “vietare” determinate successioni intervallari considerate “sconvenienti” (ad es. successioni di quinte o di ottave) o anche solo in considerazione della distinzione tra intervalli considerati “consonanti” e intervalli “dissonanti” e della regolazione del loro alternarsi. Consonanza e dissonanza sono due concetti che si definiscono solo per differenza reciproca, e che per quanto siano stati ricondotti spesso a ragioni oggettive e scientifiche (basate su osservazioni derivate dalla matematica o dalla fisica) sono dettate volta per volta da motivazioni estetiche che sono relative alla cultura musicale che le ha prodotte, e dunque sempre storiche e mai assolute.

Il contrappunto si è poi evoluto nella storia della musica anche grazie all’incontro e all’integrazione di altre dimensioni della composizione. Per fare un esempio rilevante, con l’avvento del principio della tonalità i compositori hanno iniziato a far interagire la conduzione puramente contrappuntistica delle voci con l’esigenza di rispettare la sensatezza delle successioni armoniche, regolate da leggi autonome, dettate appunto dai princìpi dell’armonia tonale (caso paradigmatico in tal senso resta quello di J.S. Bach). Contestualmente il contrappunto inteso come principio compositivo particolarmente rigido (cioè vincolato a regole costrittive) ha iniziato a distinguersi dallo “stile libero”, un modo di comporre fondato su regole meno vincolanti, che prevedeva, tra le varie possibilità, opzioni non previste dal contrappunto rigoroso, come la differenziazione gerarchica di singole voci (voci principali e secondarie) o il principio dell’armonizzazione. Nel XX secolo la crisi dell’armonia tonale – il cui sviluppo nel corso del XIX secolo aveva relegato in secondo piano le relazioni contrappuntistiche tra voci autonome – ha condotto di riflesso a una forte rivalutazione del contrappunto come principio strutturale e compositivo prevalente, nell’ambito di scuole anche molto diverse, ora rivolte a una forma di integrazione ritmica tra le voci (Hindemith), ora a una accentuazione dell’autonomia delle voci, il cui decorso veniva nello stesso tempo sottomesso a nuovi metodi compositivi (Schönberg).

Diverso l’atteggiamento dei teorici del XX secolo. Contro l’idea di un graduale regredire di questo principio compositivo dalle opere del periodo classico e romantico (metà XVIII - fine XIX secolo), al contrappunto viene assegnato un ruolo estremamente rilevante all’interno della teoria della forma di Heinrich Schenker. Una semplice relazione contrappuntistica tra una “linea fondamentale” discendente e un “arpeggio del basso” si troverebbe a suo avviso alla base di ogni opera del repertorio tonale, come “struttura profonda” sostanzialmente invariante. Ogni composizione tonale – ma Schenker ha in mente una serie di opere “rilevanti” che in quanto “capolavori” assumono un valore anche normativo – sarebbe in tal senso un diverso “prolungamento” (ovvero un particolare riempimento e una particolare ornamentazione) di questa semplicissima struttura fondamentale. (ACe)

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