Invenzione e scrittura
In ogni sua forma, in qualsiasi epoca e a ogni latitudine la composizione musicale si manifesta come un complesso intreccio di istanze a prima vista contraddittorie: creatività e tecnica, emotività e raziocinio, espressione e calcolo sono ugualmente implicati nel suo concetto, che sarebbe riduttivo riportare all’etimologia latina del “porre insieme” (componere, da cum e ponere). Piuttosto la capacità di comporre musica è sempre stata avvicinata a un mistero. Ciò ha a che fare con le difficoltà che incontriamo nel definire in generale la creatività artistica, che rimanda al retaggio antropologico e a processi psicologici in parte inconsci. Per questo l’ispirazione – la musa – è stata gradualmente relegata sullo sfondo dei discorsi sulla musica, come suo presupposto inesplicabile. D’altra parte il processo inventivo può essere ricostruito solo nella misura in cui lascia tracce documentabili, fissate in forma scritta. In tal senso l’invenzione può essere trattata utilmente solo considerando il suo rapporto necessario con la scrittura musicale. Ciò vale a maggior ragione per la storia della musica europea, dove la scrittura musicale ha finito per conquistare una posizione di assoluta centralità, che l’ha legata indissolubilmente e quasi identificata con il concetto di composizione. Per scrittura musicale si deve intendere la rappresentazione di idee musicali mediante segni grafici convenzionali fissati su un supporto che ne consente la conservazione. Tale concetto non è identico a quello di notazione, che si allarga a metodi di fissazione che non prevedono l’uso della scrittura, ma che si servono di tecniche mnemoniche più o meno collegate con la gestualità. In questo caso si parla di notazioni orali, in quanto risultano impraticabili al di fuori di una tradizione orale consolidata (v. oralità e scrittura), collegata a una prassi esecutiva. Se ci riferiamo agli esiti moderni della storia della musica europea, per scrittura musicale dobbiamo intendere non solo una notazione scritta specializzata, in grado di fissare con precisione un numero piuttosto elevato di parametri, ma anche una modalità di rappresentazione delle idee musicali che è giunta a costituire un livello relativamente autonomo di senso, che si affianca al livello della realizzazione sonora.
Evoluzione della scrittura e residui di oralità tra medioevo, rinascimento ed età moderna
Nella stessa tradizione occidentale la scrittura musicale non
ha sempre avuto questo significato, ma lo ha raggiunto alla fine di un processo
storico. Tale risultato ha richiesto l’interiorizzazione di caratteristiche
notazionali che sono emerse molto gradualmente ma che si sono conservate in
modo cumulativo in epoca medioevale e rinascimentale
(v.
oralità e scrittura). Tra queste la definizione del sistema delle
altezze attraverso l’utilizzo del rigo musicale e delle chiavi
(v. altezza);
l’organizzazione delle durate fondata sulla diversa forma delle note;
l’introduzione dei segni di mensura e quindi della suddivisione in battute
(v. ritmo); la disposizione spaziale delle voci in
partitura, legata in parte all’introduzione della stampa musicale. In
epoche in cui la musica scritta costituiva ancora la punta di un iceberg di
consolidate tradizioni orali, il rapporto tra invenzione e scrittura non aveva
quel carattere di immediatezza che oggi diamo per scontato: per lungo tempo
infatti l’ideazione della composizione e la sua realizzazione sonora
hanno mantenuto quel legame diretto – non mediato dalla scrittura –
che è tipico delle culture prevalentemente orali. Lo testimoniano alcuni
indicatori. In primo luogo il fatto che le voci di una composizione contrappuntistica
(v. contrappunto) per molti secoli
sono state riportate in successione, da cui evinciamo che le diverse linee
melodiche venivano sovrapposte “a mente”. Questo significa che
la necessità di una rappresentazione che ne esplicitasse
la simultaneità
attraverso la sovrapposizione spaziale non era
ancora sentita. In secondo luogo anche nella ristretta cerchia di teorici
e compositori che si avvalevano metodicamente della scrittura musicale il
processo di alfabetizzazione risulta piuttosto lento e faticoso. Ancora in
epoca rinascimentale l’esecuzione rappresentava
il presupposto essenziale della valutazione estetica e tecnica di una composizione,
mentre il giudizio sulla correttezza della notazione era spesso indipendente
dal primo. Di fatto la scrittura era percepita come un’operazione successiva
e secondaria rispetto a un’invenzione che non partiva ancora da elementi
scritti ma che piuttosto scaturiva dalla prassi musicale. Inoltre ancora in
epoca rinascimentale la scrittura musicale spesso non assolveva ancora simultaneamente
alle diverse funzioni che oggi appaiono unificate: la notazione assumeva una
fisionomia molto diversa a seconda che fosse finalizzata all’esecuzione
oppure alla contemplazione della struttura ideale (teorica) della composizione.
L’evoluzione che ha portato a una sempre più marcata emancipazione
della scrittura musicale da questi residui di oralità può essere
ricollegata almeno in parte agli sviluppi della teoria e della prassi del
contrappunto. Nel corso del XVI secolo l’aumentare progressivo del numero
delle linee melodiche e il complicarsi dei loro rapporti reciproci rese sempre
più indispensabile l’utilizzo di rappresentazioni grafiche capaci
di innescare procedure di controllo tanto sulla progettazione della composizione
quanto sulle singole fasi della sua realizzazione.
Con il passaggio da una cultura musicale contrappuntistica a una concezione
fondata sul primato della melodia e delle relazioni armoniche – dunque
con la nascita e l’evoluzione del melodramma
a partire dagli ultimi anni del XVI secolo – la scrittura musicale ha
continuato a specializzarsi, soprattutto in relazione agli aspetti più
strettamente espressivi (v. espressione);
anche se bisogna sottolineare che il primato della “rappresentazione
degli affetti” riconnetteva l’invenzione
musicale più alla vitalità della prassi esecutiva che alla fissità
della scrittura. Per questo motivo alla scrittura prescrittiva,
stabilita dal compositore, si affiancava in molti casi una scrittura
descrittiva, che intendeva immortalare una determinata interpretazione.
Si dava per scontato che in fase di esecuzione la maestria e il sentimento
dell’interprete avrebbero contribuito a determinare un numero piuttosto
alto di parametri musicali. Più in generale, a queste altezze cronologiche
la scrittura musicale non aveva ancora il carattere vincolante che assumerà
in seguito. Ciò continua a valere in parte nei secoli XVII e XVIII,
soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi dell’armonia,
che raggiunge il suo apice con la diffusione della prassi compositiva del
basso continuo (v. armonia;
tonalità). La diffusione del basso cifrato
permetteva al compositore, attraverso una simbologia numerica riconosciuta
e diffusa, di affidare direttamente agli interpreti la realizzazione di ampie
sezioni della composizione, e questo valeva anche per molti altri aspetti.
Dal momento che la prassi esecutiva garantiva la corrispondenza tra intenzione
del compositore e realizzazione sonora, la completezza della scrittura musicale
e la sua precisione scrupolosa non erano ancora sentite come una necessità.
Normatività della scrittura musicale in epoca moderna
La stabilità notazionale che caratterizza la musica
già a partire dal XVII secolo ma poi soprattutto tra il XVIII e il
XIX ha contribuito non poco a consacrare la scrittura musicale quale orizzonte
naturale del comporre. Comporre e scrivere diventano una sola cosa, perché
la scrittura accompagna in modo sempre più assiduo tutte le fasi della
composizione. Già in fase di invenzione e definizione dell’idea
musicale il compositore si affida alla notazione scritta: egli si appunta
successioni di note o di accordi, intere melodie, brevi motivi, abbozza singoli
passaggi, progetta schemi formali o ritmici; ma solo dopo una lunga serie
di procedure di selezione ed elaborazione passa ad abbozzi più ampi,
fino alla stesura definitiva. La rappresentazione grafica della musica, caratterizzata
dalla simultanea presenza spaziale di elementi che nella effettiva realizzazione
sonora si troveranno in successione temporale, permette un controllo razionale
sulle singole parti e sulla loro articolazione complessiva; così tendono
a svilupparsi strategie di organizzazione fondate su criteri di coerenza e
di equilibrio formale e su nessi sintattici e strutturali.
Per quanto riguarda la composizione compiuta, la sua scrittura guadagna una
normatività estetica senza precedenti. Diventa centrale il concetto
di opera, che nel corso del XIX secolo verrà
inteso in una connotazione
sempre più enfatica, in connessione con il concetto romantico del
genio.
L’identificazione della composizione con un testo
fissato in forma scritta è essenziale a questa evoluzione. L’opera
è in primo luogo il compimento del processo compositivo, la composizione
intesa nella sua unità e compattezza formale; quando però viene
riconosciuta come capolavoro dell’arte e prodotto del genio artistico,
allora diventa opera rappresentativa di un’epoca, fino ad assumere uno
status normativo per le generazioni successive. La forma scritta della composizione,
intesa come l’insieme delle prescrizioni finalizzate alla realizzazione
sonora, diventa un punto di riferimento essenziale anche dal punto di vista
dell’esecuzione, contribuendo alla marcata istituzionalizzazione della
prassi concertistica.
Come conseguenza ulteriore di questa intera evoluzione, la scrittura musicale
si delinea sempre più chiaramente come mezzo privilegiato per la comprensione
e la conoscenza della musica. Al primato della scrittura è legata tutta
la riflessione sulla musica a partire dalla prima metà del XIX secolo.
In mancanza di un testo che fissi con precisione i diversi parametri della
musica difficilmente si sarebbero sviluppate le diverse branche della musicologia
(v. le discipline musicologiche): non
solo l’analisi (v. teoria e analisi)
e la critica musicale ma perfino la storiografia
(v. storia e storiografia), rifondata nei
primi decenni del XX secolo sulla base del concetto di stile, sarebbe risultata
irrealizzabile. Una valutazione basata sull’ascolto risulterebbe infatti
deficitaria rispetto alla possibilità offerta dal confronto puntuale
tra testi.
Nuove direzioni nel XX secolo
Nel corso del XX secolo la scrittura entra in relazioni nuove
e molteplici tanto con l’invenzione quanto con la realizzazione sonora.
La relazione stabile e apparentemente naturale tra invenzione e scrittura
che ha caratterizzato i due secoli precedenti va infatti in crisi, da una
parte perché le poetiche dei compositori insistono sull’artificialità
e sulla convenzionalità della scrittura, dall’altra perché
si amplia indefinitamente l’ambito delle sonorità utilizzabili
in sede compositiva. Gli esiti di questo processo sono talora opposti.
In una prima direzione assistiamo alla specializzazione della scrittura musicale
e alla sua estrema complicazione, che va di pari passo con il complicarsi
dei procedimenti inventivi e compositivi. Molti compositori si attengono infatti
alla notazione tradizionale, integrandola via via in modo da includere
nuove sonorità, derivanti da sollecitazioni non convenzionali degli
strumenti della tradizione, da nuovi strumenti o da nuove tecniche di produzione
sonora. Capita che l’esecutore metta a disposizione del compositore
un repertorio di suoni che egli è in grado di produrre e controllare
attraverso una tecnica innovativa; in seguito si pone il problema della codifica
scritta dei nuovi suoni e dunque la scrittura stessa si apre all’invenzione.
In questi casi la legenda diventa parte essenziale
della partitura, perché deve veicolare di volta in volta le informazioni
necessarie alla decodifica. In tutti questi casi la scrittura diventa meno
stabile ma più vincolante, perché il compositore non può
fondarsi su una prassi esecutiva già esistente. Nella stessa direzione
va la musica elettronica, per la quale tuttavia
il compositore deve rivolgersi a modalità di rappresentazione del tutto
peculiari. Egli si trova infatti a produrre direttamente – senza la
mediazione dell’interprete – i suoni, attraverso la manipolazione
delle strumentazioni elettroniche. In questi casi entrano chiaramente in gioco
anche le tecniche di registrazione.
In una seconda direzione, altri compositori ricorrono a nuove forme di notazione
scritta in palese controtendenza rispetto al progressivo perfezionamento della
scrittura nella storia della musica occidentale. La consapevolezza delle restrizioni
imposte all’invenzione da una scrittura eccessivamente specializzata
e la ricerca di nuove esperienze compositive induce a un rinnovamento e a
una critica esibita della notazione tradizionale. L’infrazione dei codici
della composizione investe così il piano della scrittura, che si fa
evocativa, indeterminata; che rinuncia alla chiarezza razionale della notazione
tradizionale per avvicinarsi all’evocazione pittorica, con uno sguardo
alle esperienze dell’astrattismo.
Il XX secolo è anche l’epoca in cui la tecnologia
ha messo a disposizione tecniche di registrazione su supporti (prima analogici,
poi digitali) che consentono di prescindere completamente dalla scrittura
per la fissazione della musica e che per di più la fissano nella forma
temporale e nella concretezza sonora che le è propria (v. tecnologie).
La ripetibilità della registrazione permette di introdurre nuove tipologie
di controllo e dunque nuove possibilità compositive. In alcuni repertori
di larghissima diffusione (nell’ambito della popular music)
la registrazione in studio e la possibilità tecnica di un suo graduale
perfezionamento può sostituire la scrittura e diventare parte integrante
del processo di invenzione. Il CD musicale diventa l’equivalente del
testo, in quanto conserva un originale che il concerto è chiamato a
riprodurre talvolta con estrema fedeltà, altre volte introducendo varianti
anche sostanziali, che mirano a sottolineare la centralità dell’evento
e il primato della performance. Il valore attribuito
alla performance e la registrazione in studio sono aspetti che ci riportano
a tratti tipici di oralità; conseguentemente la scrittura musicale
si riduce a un ruolo piuttosto marginale. Gli spartiti musicali offerti per
i generi e i repertori popular si riducono quasi sempre a una
segnatura approssimativa delle melodie e a una cifratura degli accordi che
ricorda da vicino procedimenti in uso ad altre altezze cronologiche.
Oltre l’invenzione e la scrittura: la realizzazione sonora
La storia della composizione è lì a dimostrare
che il rapporto tra invenzione e scrittura non è mai dato una volta
per tutte, ma si modifica storicamente: l’invenzione influisce sulla
scrittura musicale tanto quanto ne è influenzata. Tuttavia il discorso
sulla musica non si esaurisce in questa dialettica. La scrittura non è
ancora (o non è più) musica, ma solo una segnatura grafica;
per diventare compiutamente musica è necessaria l’esecuzione.
In una cultura musicale fondata sulla scrittura eseguire una partitura significa
riportarla in vita, restituire esistenza sonora e temporale – cioè
pienamente musicale – a una rappresentazione spaziale che non esaurisce
il senso della composizione, dal momento che non ne permette la percezione
sonora effettiva, l’unica in grado di innescare l’esperienza
estetica.
Con l’esecuzione della musica entra in gioco una diversa dialettica.
Se è vero che il compositore consegna all’esecutore – mediante
la scrittura – una struttura che dal punto di vista dell’invenzione
è compiuta, è anche vero che tale struttura deve essere interpretata.
In questo senso a ogni interpretazione è
consegnata una percentuale di invenzione. Questa percentuale nella seconda
metà del XX secolo – con l’emergere di tecniche compositive
meno vincolanti e di notazioni indeterminate o indefinite – si è
allargata talora fino alla richiesta esplicita di coautorialità. Ma
anche la scrittura che si pretende più vincolante è destinata,
al momento dell’esecuzione, a incontrare le esigenze dell’interprete,
le quali non permettono una cieca obbedienza alle prescrizioni del testo.
Nel momento dell’estemporanea realizzazione sonora il circolo di invenzione
e scrittura – momentaneamente – si spezza. Nello stesso istante
si palesa la doppia vita della composizione e il doppio livello del senso
musicale (scrittura e realizzazione sonora) che è costitutivo della
tradizione occidentale. (ACe)
Bibliografia di riferimento
Stephen Blum, s.v. Composition, in The New Grove
Dictionary of Music and Musicians, Second Edition, edited by S. Sadie, vol.
24, coll. 187-201.
Gianmario Borio (a cura di), La scrittura come rappresentazione del pensiero
musicale, Pisa, ETS, 2004.
Nicolas Meeùs, Scale, polifonia, armonia, in Enciclopedia
della musica,
diretta da J. J. Nattiez, II: Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp.
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Hartmut Möller, s.v. Notation, (I. Einleitung), in Die
Musik in Geschichte und Gegenwart, 2. Ausgabe, Sachteil, Band 7, coll.
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