Storia e storiografia
Il concetto di storia in ambito musicale
La storia della musica è una disciplina del sapere la
cui istituzionalizzazione come campo di studi autonomo risale alla seconda
metà dell’Ottocento, con la creazione delle prime cattedre di
musicologia nelle università della Germania (v. Discipline
musicologiche). Questa tardiva formalizzazione di un ambito di riflessione
e di attività che esisteva di fatto fin dal Cinquecento e in maniera
assai sistematica fin dal Settecento, è indicativa della complessità
del concetto di storia in ambito musicale e dei problemi legati alla definizione
dei compiti e dei metodi della storiografia musicale.
Si pone innanzitutto la domanda: “Storia della musica” è
storia di che cosa? Qual è il suo soggetto? La musica, ovviamente,
ma quale musica? (v. Che
cos’è la musica?) Delimitato il campo al concetto occidentale
di musica che, come abbiamo visto, fonde dialetticamente le nozioni di arte
e scienza, di prassi e teoria, e posta l’attenzione alla storia che
per virtù di quella fusione si è documentata lungo i secoli
in forma di trattati pratici e teorici, rimangono aperte altre questioni fondamentali:
Quali sono i “fatti” della musica occidentale e quali possono
o devono essere i criteri della loro narrazione
cronologica? Come la storia di tutte le arti, quella della musica condivide
con la storia generale aree tematiche, criteri e strumenti di ricerca (studio
e critica delle fonti, periodizzazione, criteri di evoluzione e causalità,
biografia). Ma essendo le opere stesse il principale soggetto d’interesse
dell’indagine, la prospettiva storica nelle arti s’intreccia e
a volte contrasta con la prospettiva teorica ed estetica ponendo in primo
piano la questione dell’autonomia dell’opera
rispetto alle circostanze della sua creazione, alle vicende della sua trasmissione
e ai contesti della sua ricezione. La storia delle opere musicali non coincide
necessariamente con la storia della composizione, la quale non coincide con
la storia della teoria musicale; le vite dei compositori non coincidono con
la storia delle loro opere; la realtà musicale interagisce con ed è
condizionata da fattori sociali, economici e politici che si riflettono nella
prassi esecutiva, nei costumi e nei gusti del pubblico, i quali a loro volta
si ripercuotono sulla stessa creazione musicale. Questo intreccio di prospettive
evidenzia la natura complessa e frammentaria del concetto di storia della
musica, concetto pure esso storicizzato in quanto oggetto di un’indagine
storica che documenta le sue trasformazioni sullo sfondo dei mutamenti del
pensiero generale (filosofico, teorico, sociale, antropologico) e musicale.
Qui di seguito scorreremo le principali tappe storiche della storiografia
musicale e ci soffermeremo su alcuni dei suoi nodi ricorrenti.
Pensiero storico prima della “storia della musica”
Una sorta di indagine storica sulla musica greca è già presente
nel “Peri Mousikes” di Plutarco (123 d.C.) che, senza intenti
sistematici e interpretativi e con l’aiuto di citazioni da Aristosseno
e altri, trasmette un’idea della tradizione antica e classica con i
suoi principali valori e problemi. L’esegesi delle sacre scritture ad
opera dei padri della chiesa e l’elaborazione del pensiero greco nell’alto
medioevo stabiliscono una narrazione delle origini della musica (Jubal della
Genesi biblica, Apollo, Pitagora), che per quanto mirata ad esplorare e delimitare
il ruolo della musica nella fede cristiana, pone le basi alla consapevolezza
storica di un passato dal quale non si può prescindere nella definizione
della tradizione in atto e nella giustificazione delle innovazioni che su
quella tradizione s’innescano. La tensione tra
vecchio e nuovo diventa presto l’asse attorno al quale si svolge
il dibattito che, focalizzato su questioni teoriche (relative ai modi ecclesiastici,
alla notazione e alla prassi esecutiva) e teologiche (relative al testo liturgico
e alla sua intelligibilità), documenta comunque un processo di evoluzione
e di mutamenti pratici. Hans-Heinrich Eggebrecht porta come esempio precoce
di questa peculiare consapevolezza storica dei teorici medievali il rigetto
da parte di Guido d’Arezzo, attorno al 1030, del sistema di tetracordi
teorizzato nel trattato Musica enchiriadis (ca 900) a favore del sistema di
ottave fatto risalire al pensiero autorevole di Boezio. Altri esempi di un
ragionamento che fa derivare il nuovo dal vecchio si ripresentano periodicamente
fino all’esplicita proclamazione all’inizio del XIV secolo di
una ars nova (“ars nove musice”-
Jehan des Murs, 1321) – conseguenza e sostituzione dell’ars
antiqua (“sicut in veteri arte est, ita in nova” –
Anonimo). Tale proclamazione era seguita da una scia di polemiche –
quasi un’anticipazione delle controversie che accompagnavano la nascita
della “seconda pratica” nel primo Seicento e altre querele esplose
nell’era moderna attorno all’avvicendamento degli stili e al valore
del nuovo rispetto alle norme del passato. Si introduce così il problema
storiografico della periodizzazione, ovvero l’organizzazione
della narrazione storica in periodi e stili che non sempre coincidono tra
loro.
La dichiarazione di Tinctoris (nel prologo al suo “Liber de arte contrapuncti”
del 1477) che la musica scritta prima del 1430 non è degna di ascolto,
e la sua indicazione di singoli compositori (Dunstable, Dufay, Binchois e
pochi altri) come responsabili dello sviluppo del linguaggio musicale, sono
segnali di un cambiamento di prospettiva sul rapporto tra teoria, storia e
creazione musicale. Nell’Umanesimo il compositore individuale diventa
protagonista del presente rivistando valori classici in forme e stili attuali
che variano da un centro culturale all’altro. Il Rinascimento cinquecentesco
si rivolge alle dottrine musicali dell’antichità come fonte ispiratrice
di riflessioni teoriche (Nicola Vicentino che nel suo “L’antica
musica ridotta alla moderna pratica” del 1555 propone il rinnovamento
del contrappunto per mezzo dei generi cromatici ed enarmonici dell’antica
Grecia). Verso la fine del XVI secolo si giunge ad una viva interazione tra
discussione teorica e nuova creatività: il “Dialogo della musica
antica et della moderna” di Vincenzo Galilei, pubblicato nel 1581 nell’apice
dell’attività musicale e intellettuale della Camerata Fiorentina,
funge da stimolo e punto di riferimento per la rinascita della monodia, ovvero
la “seconda pratica” (che fu giustificata da Monteverdi con riferimenti
alla Repubblica di Platone).
Sei e Settecento
Parallelamente alla prassi e alla teorizzazione dei nuovi stili, permaneva
nei trattati il riferimento allo “stile antico” come modello normativo
e didattico che a causa della sua tradizione secolare assumeva il ruolo di
“musica historica”, base imprescindibile per ogni narrazione storica.
E’ sotto questo segno che nascono le prime trattazioni storiche che,
specie nel Seicento, adottano spesso una visione onnicomprensiva in cui sono
ancora evidenti le tracce di un pensiero teologico con tentativi, sia in area
cattolica sia in quella protestante, di difendere la legittimità della
nascente musica strumentale. I titoli dei principali trattati elencati di
seguito sono indicativi della graduale secolarizzazione della prospettiva
storica e delle differenti impostazioni delle tre culture musicali europee
tra l’inizio del XVII e la metà del XVIII secolo: “Syntagma
musicum” (Germania, 1614-18) del tedesco Michael Praetorius che nel
primo capitolo tratta della “musica sacra e liturgica dei tempi passati
e anche del presente”; “Harmonie universelle” di Mersenne
(1636-37); “Musurgia universalis” di Athanasius Kircher (1650);
“Descrizione storica [der edelen Sing- und Kling-Kunst] dell’arte
del canto e del suono” di W. C. Printz (Germania 1690); “Historia
musica” di Angiolino Bontempi (1695), significatamente ribattezzata
da Mattheson (vedi infra) come “storia della musica”; “Hisotoire
de la musique et de ses effets” di Bonnet-Bourdelot (1715); “Histoire
générale, critique et philologique“ di de Blainville (data
XXXX); “Musikalisches Lexicon” di Walther (1732) e il trattato
storico “Der volkommene Capellmeister” [traduzione] di Mattheson
(1739).
L’attenzione dei francesi agli “effetti” della musica e
all’aspetto critico e filologico dell’indagine storica riflettono
la straordinaria vivacità intellettuale della scena musicale nella
Francia settecentesca. La “Querelle des Anciens set des Modernes”
e il dibattito tra i sostenitori della musica francese e quelli della musica
italiana stimolavano un pensiero analitico ed estetico che interagiva direttamente
con l’esperienza musicale dando luogo ad una saggistica illuminata di
notevole mole e originalità culminata nel “Essai sur la musique
ancienne et moderne” di de La Borde (1780-81). L’assimilazione
tedesca dell’Illuminismo francese dette luogo ad alcune pubblicazioni
storico-critiche (Marpurg 1759, Gerbert 1774), mentre l’unica impresa
storiografica dell’epoca in Italia – la voluminosa e incompiuta
“Storia della musica” di Padre Martini (1761-81) – adottava
nella trattazione storica una minuziosa sistematicità critica più
vicina allo spirito dei trattati teorici con il risultato di un monumento
di rara erudizione sulla musica antica.
La dialettica tra l’idea del progresso,
al centro di una nascente filosofia della storia, e uno storicismo
che attribuisce al passato un valore assoluto prescindendo dalle vie e dagli
influssi che lo legano al presente, alimenta le due opere inglesi considerate
le più importanti storie della musica del tardo Settecento: “A
General History of the Science and Practice of Music” di John Hawkins
(1776) e “A General History of Music” di Charles Burney (1776-89).
Hawkins abbraccia l’istanza progressista nella critica a coloro che
innalzano gli ideali dell’antichità greca a valori assoluti e
normativi, ma si dimostra assolutista egli stesso nel proclamare, con dovizia
di documenti ed esempi, lo stile antico e la musica ecclesiastica esteticamente
superiori alla musica strumentale e all’opera italiana del Sei e Settecento.
Burney, al contrario, rivolge la massima attenzione allo stato attuale della
musica europea e adotta un criterio laico e divulgativo nella narrazione del
passato suddividendolo in periodi e scuole e inserendo i problemi musicali
in un contesto culturale.
Ottocento
Con Hawkins e Burney la trattazione storica della musica comincia ad assumere
i caratteri di una storiografia consapevole del proprio compito di offrire
un resoconto sistematico delle opere, delle biografie
dei loro autori e delle circostanze della loro
esecuzione. E’ soprattutto in Germania che tale consapevolezza coincide
con una presa di coscienza del nuovo statuto estetico e filosofico della musica
come forma di pensiero e come linguaggio espressivo autonomo. Il contributo
più significativo viene da J. N. Forkel, noto come autore di una fondamentale
biografia di Bach (1802) inizialmente programmata come appendice alla sua
“Algemeine Geschichte der Musik” (Storia universale della musica,
1788-1801) i cui due volumi arrivano fino al XVI secolo, mentre il terzo,
incompiuto, doveva presentare una “storia particolare della musica tedesca”
dando espressione ad una coscienza nazionale
che svolgerà un ruolo determinante nella storiografia musicale tedesca
lungo l’Ottocento e oltre. Il “Saggio sulla metafisica della composizione”
che apre l’opera, esplora l’idea, ancora illuminista, della bellezza
come legge fondamentale da applicare anche alla storia. La narrazione storica
di Forkel segue il criterio di un’evoluzione graduale e organica della
musica occidentale dai suoi inizi fino alla perfezione dei capolavori settecenteschi
(di cui Bach è il massimo esempio). Ma l’idea stessa di “perfezione”
individuata in un modello del passato, seppure recente, implicava una scissione
con un presente musicale che andava in direzioni completamente nuove (la scuola
viennese e lo stile che più tardi sarà battezzato “classico”).
In linea con la concezione romantica della storia come “la più
universale, generale e alta di tutte le forme del sapere” (Friedrich
Schlegel), “perno morale della cultura umana” (Humboldt), la musica
del presente doveva diventare Storia per elevarsi a sua volta a modello.
Con l’impulso della nascente filologia musicale che dà
inizio alle grandi imprese di catalogazione e di edizioni critiche dell’opera
omnia dei grandi musicisti del passato (anche in questo Bach fu il primo),
si crea nel secondo Ottocento in Germania una storiografia musicale che privilegia
la prospettiva storicistica faccendola interagire con un relativismo estetico
che, rinunciando a stabilire valori assoluti di bellezza e di perfezione,
promuove un approccio empirico-positivista a
stili e forme musicali divergenti che si avvicendano nel corso della storia.
E’ su questa base che si forma la nascente disciplina musicologica nelle
università tedesche del fine Ottocento. Al tempo stesso, l’enorme
impatto dell’idealismo hegeliano ispira
studiosi quali Marx e Brendel a perseguire (con scelte estetiche divergenti)
l’ideale di una musica del presente e del passato recente, che più
di quella del passato remoto è capace di trasmettere idee filosofiche
e quindi di esercitare un ruolo attivo nella formazione spirituale. La concezione
della musica come organismo e la metafora della
sua crescita naturale in quanto parte integrante dello Zeitgeist (lo spirito
del tempo) caratterizza il pensiero di Wilhelm Ambros, che riflette una forte
influenza dell’approccio storico culturale di Jakob Burkhardt. La sua
fondamentale (incompiuta) “Geschichte der Musik” (1862-82) attribuisce
un’importanza primaria al metodo di divisione in epoche, che secondo
lui assicura alla narrazione ordine e coerenza senza i quali non si dà
una vera storia della musica.
In area francese lo storico François-Joseph Fétis propone nella
sua “Histoire générale de la musique” (1869-76)
una revisione della prospettiva progressista difendendo la ragione e la legge
naturale, retaggio dell’Illuminismo, ed evitando la metafisica dell’idealismo
tedesco. Partendo dall’idea di un’autonomia dell’opera e
del linguaggio musicale, la sua trattazione (eccezionale tra l’altro
per il tentativo di estendersi oltre i confini della musica occidentale) mette
l’accento sul processo evolutivo di una
musica che “crea, sviluppa e modifica se stessa in virtù di diversi
principi che si spiegano […] e si manifestano periodicamente da uomini
di genio.” (Biographie Universelle, 1873). L’autonomia del divenire
musicale è la chiave della narrazione storica di Hubert Parry, la cui
opera “The Evolution of the Art of Music” (1893) riflette il clima
intellettuale dell’Inghilterra di Darwin e di Spencer.
Novecento
L’avvento del XX secolo vede lo studio della storia della musica ben
inserito nel contesto accademico europeo come una disciplina scientifica a
tutti gli effetti, con un crescente approfondimento dei singoli campi di ricerca
quali lo studio e la critica delle fonti, la biografia documentata, la paleografia,
l’organologia, storia degli stili, delle forme e delle teorie musicali,
e altre specializzazioni che assieme formano il ramo storico, distinto da
quello “sistematico” della musicologia (il quale – secondo
la definizione di Guido Adler, fondatore della Musikwissenschaft come campo
di studio autonomo – copre gli aspetti teorici e pratici del sapere
musicale: v. Le discipline musicologiche). Non
più, dunque, isolate imprese storiografiche dovute alla passione e
alla dedizione di singoli studiosi, bensì una nuova professione la
cui suddivisione in campi di competenza consente la produzione di un sapere
specializzato e la definizione di metodi di ricerca specifici a ciascun campo.
La fioritura di cattedre nei diversi paesi favorisce la nascita di comunità
di storici della musica che si distinguono tra loro anche per identità
nazionale e che si sentono investiti della responsabilità di documentare,
elaborare e trasmettere il patrimonio musicale del proprio paese.
Sullo sfondo del rigoroso positivismo scientifico che ha caratterizzato la ricerca musicologica della prima metà del secolo, altre correnti di pensiero filosofico e sociale hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo della storiografia musicale novecentesca. L’approccio ermeneutico alle scienze dello spirito, che aveva in Wilhelm Dilthey (XXXX) il maggiore maestro, favoriva nel lavoro di alcuni musicologi tedeschi del primo Novecento (Arnold Schering, Wilibald Gurlitt) un metodo interpretativo giustificato dal postulato che “ogni storia è scritta al presente, a partire da un punto di vista particolare in funzione del quale la realtà studiata acquista la sua coerenza.” (Vendrix, p. 602). La contrapposizione tra “oggettivisti” e “soggettivisti” continuava a caratterizzare il dibattito storiografico in seno alla comunità musicologica fino agli anni Sessanta del secolo scorso – periodo in cui nascono i primi tentativi di autocritica della musicologia mettendo in crisi i parametri fondamentali della disciplina: il rapporto tra storia e critica, tra storia musicale e storia generale, tra musica e realtà. In questa fase di revisione sono state determinanti esperienze in altri campi del sapere, tra cui spicca l’insegnamento dei “nuovi storici” francesi (quali Marc Bloch, Lucien Lefebvre e Jacques Le Goff – tutti legati alla rivista “Annales d’histoire economique e sociale”) che hanno promosso una ricerca volta a fornire un quadro decentrato e multi focale della realtà documentando la storia da un punto di vista sincronico e non più come uno spiegamento diacronico di eventi. Un’altra influenza rilevante è venuta dal campo della critica e della storia della letteratura, con la teoria della ricezione elaborata da Hans Robert Jauss e la scuola di Costanza (della quale faceva parte il grande esponente della filosofia ermeneutica Hans Georg Gadamer), in base alla quale il senso di un’opera d’arte non è assoluto, ovvero dato una volta per tutte con l’opera stessa, ma dipende dalla rete di relazioni che da essa si estendono per tramite dell’interprete verso i fruitori che a loro volta la investono di nuovi significati. La catena infinita di trasmissione e ricezione si rifà al principio (e ai paradossi) del circolo ermeneutico, e al tempo stesso obbliga a focalizzare l’attenzione sulle circostanze concrete dell’esperienza musicale che, centrata com’è sull’esecuzione e sull’ascolto collettivo, partecipa più delle altre arti ai mutamenti della realtà sociale e culturale. Il formalismo e lo strutturalismo linguistico e antropologico hanno interessato soprattutto i rami “sistematici” della musicologia del secondo dopoguerra (l’etnomusicologia, le teorie della composizione e la semiotica della musica) che di conseguenza si sono allontanati ulteriormente dagli orizzonti della ricerca storica.
Un contributo imprescindibile alla concezione e alla metodologia della storiografia musicale è stato il lavoro di Carl Dahlhaus (1928-1988). In “Fondamenti di storiografia musicale” (1977) egli si interroga sulla possibilità di riconciliare una storia della musica che tenga conto della realtà sociale e delle dinamiche della ricezione e al tempo stesso renda giustizia all’autonomia strutturale ed estetica dell’opera. Con la sua “Storia della musica dell’Ottocento” (1980) Dahlhaus fornisce un’illustrazione esemplare di questa possibilità facendo coesistere storia e teoria, diacronia e sincronia, uno sguardo ampio che abbraccia la lunga durata degli eventi musicali nel loro contesto sociale e politico e lo scrutinio microscopico che penetra l’anima della singola composizione. In altri studi (sulla musica assoluta, su valore e giudizio estetico, sul realismo musicale) egli estende il campo d’indagine alla storia dei concetti che hanno segnato il pensiero musicale moderno. “La vera questione che anima la penna feconda di Dahlhaus è sempre quella della storicità di ogni riflessione e di ogni attività umana. […] Ciononostante, Dahlhaus si distingue dai filosofi della storia in quanto attribuisce il primato alla pratica storiografica. Il pensiero di questo musicologo non si avventura mai nei meandri di una metastoria, ma resta sempre ancorato all’interpretazione di una ‘realtà’ storica concreta.” (Vendrix, p. 604).
La “nuova musicologia”
Il pensiero di Dahlhaus rifletteva una consapevolezza sempre più diffusa
della necessità di rivedere le finalità e i metodi delle discipline
musicologiche. Un processo di trasformazione profonda iniziato negli ultimi
anni Settanta, e che è tutt’ora in corso, ha avuto un terreno
particolarmente fertile nella ricerca e nell’editoria universitaria
statunitense, con la spinta, non priva di spunti polemici, di Joseph Kerman
(“Contemplative Music. Challenges to Musicology”, 1985) e con
il fondamentale contributo di Leo Treitler “Music and the Historical
Imagination” (1989). In misure e con esiti diversi tra le due sponde
dell’Atlantico, il superamento delle esperienze del modernismo
e delle avanguardie novecentesche (delle quali
abbondano gli studi su autori e temi specifici, mentre manca ancora una prospettiva
storica complessiva) e l’influsso del pensiero
postmoderno hanno introdotto nella ricerca musicologica una nuova
libertà interpretativa e una maggiore flessibilità rispetto
sia ai concetti fondamentali di forma, struttura, significato e valore estetico,
sia alle norme e ai metodi euristici.
I criteri che ricorrono nei molteplici percorsi della “nuova storiografia”
musicale (per ricalcare le etichette “nouvelle histoire” e “new
musicology”) possono essere riassunti nei seguenti punti: 1) il desiderio
di controbilanciare la rigidità del positivismo storico e gli eccessi
del formalismo critico integrando nella ricerca storica nuovi approcci critici
ed estetici, e nella critica del testo musicale una maggiore consapevolezza
storica; 2) “valorizzare il discorso storico e dare il giusto risalto
al ruolo del narratore” (Vendrix, p. 605)
con le sue istanze estetiche e interpretative; 3) attenuare la rigida distinzione
tra le diverse tradizioni e tipologie musicali (occidentale e extra-occidentale,
colta e popolare, seria e leggera…) e fare tesoro dell’esperienza
viva, dei principi antropologici e dei metodi di verifica maturati nel campo
della ricerca etnomusicologica (v. Etnomusicologia);
4) porre il presente, con tutti i suoi risvolti
culturali, sociali e politici, al centro del dibattito storico facendo così
interagire ricerca musicologica e realtà musicale.
I nuovi campi della storiografia musicale che riflettono le due ultime tendenze
appena elencate sono gli studi interculturali (“cultural studies”)
e – soprattutto negli Stati Uniti – i “gender studies”
che rivisitano la storia canonica della musica occidentale con gli strumenti
della critica femminista. Le prime due tendenze trovano espressione nella
fioritura (anche questa soprattutto oltre l’Atlantico) di trattazioni
“narratologiche” che fondono (e talvolta confondono) principi
ermeneutici e ricostruzione storico-biografica per dar luogo a letture che
spesso riflettono più lo spirito e l’originalità di pensiero
dell’autore che non la realtà dell’opera, la sua genesi
e il suo tempo.
Le questioni poste all’inizio di questa voce sul soggetto della storia
della musica e sul conflitto tra narrazione cronologica e l’autonomia
dell’opera musicale si ripresentano dunque con vesti diverse ad ogni
nuova epoca. Le risposte che ogni epoca dà non sono mai né esaustive
né definitive; esse riflettono lo spirito dei tempi in cui sono formulate
e confermano la circolarità del rapporto tra passato e presente, documentazione
e interpretazione, storia e storiografia. (TPB)
Riferimenti bibliografici
Carl Dahlhaus, Fondamenti di storiografia musicale (1977), trad. it. Fiesole,
Dicanto, 1980
Hans Heinrich Eggebrecht, “Historiography”, in New Grove Dictionary
of Music and Musicians, a cura di Stanley Sadie, London, Macmillan, pp. 592-600
Hans Heinrich Eggebrecht, La muscia in occidente dal Medioevo a oggi (1991),
Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1996
Giordano Montecchi, “Introduzione” a Una storia della musica.
Artisti e pubblico in occidente dal Medioevo ai giorni nostri, Vol. I, Milano,
Rizzoli, 1998, pp. 9-30
Glenn Stanely, “Historiography”, in New Grove Dictionary of Music
and Musicians, a cura di Stanley Sadie, 2a edizione, London, Macmillan, 2002,
vol. pp. 546-561
Leo Treitler, Music and the Historical Imagination, Cambridge (Mass.) –
London, Harvard University Press, 1989
Philippe Vendirx, Concezioni diverse della storia musicale, in Enciclopedia
della musica, diretta da Jean-Jacques Nattiez, vol. II, Il sapere musicale,
Torino, Einaudi, 2002, pp. 591-610