Monodia e polifonia
Il termine monodia indica in senso proprio
un procedimento musicale che consiste nel dispiegarsi di una singola linea melodica
(v. melodia) intonata da una sola voce o suonata da
un solo strumento. Si ha invece polifonia quando più
suoni o più linee melodiche risuonano simultaneamente, eseguiti da voci o strumenti diversi,
come avviene in un coro, in un ensemble o in un’orchestra, oppure da un solo
strumento, a tastiera o a corde, che sia in grado di produrre suoni diversi nello stesso istante.
Quando una stessa linea melodica viene eseguita simultaneamente da più voci o strumenti
ma su diversi registri si parla di omofonia. Tra i procedimenti polifonici più semplici,
estremamente diffusi nelle più diverse tradizioni musicali, possono essere elencati il
bordone, in cui l’intonazione di una monodia viene accompagnata
dal continuo risuonare di una singola nota (solitamente al basso) o di più note in rapporto
di consonanza; l’ostinato, dove ad accompagnare la melodia
principale è la continua ripetizione di un breve inciso motivico;
il parallelismo, in cui una linea melodica secondaria si aggiunge
a quella principale, formando con essa un intervallo consonante;
l’eterofonia, che si produce quando voci o strumenti diversi
intonano una struttura melodica pressoché identica, ma caratterizzata
dall’introduzione, da parte di uno o più esecutori, di varianti o diminuzioni
che ne arricchiscono il profilo.
Nella tradizione europea della musica d’arte la polifonia svolge un ruolo di primaria
importanza, legandosi all’evoluzione del contrappunto,
una particolare tecnica polifonica caratterizzata dall’indipendenza e coerenza melodica
delle singole voci, alle quali viene data pari importanza in sede di composizione e di esecuzione.
Dal contrappunto deriva storicamente l’armonia,
una tecnica polifonica in cui l’attenzione si sposta dall’indipendenza delle singole
voci alla successione di aggregati di suoni, cioè di accordi. Nasce così una gerarchia
tra le voci: la linea del basso viene a offrire il fondamento armonico, a cui si subordinano
le voci intermedie; la linea superiore viene posta nella massima evidenza, concentrando
su di sé i valori melodici ed espressivi. L’armonia rappresenta il mezzo tecnico
fondamentale della monodia armonizzata
(v. armonizzazione), che recupera il principio
monodico in un contesto polifonico contraddistinto da un’attenzione preponderante per
la successione degli accordi anziché per l’indipendenza delle singole voci.
Nella storia della musica occidentale si osserva una continua tensione tra principio monodico
e principio polifonico. Nell’impossibilità di offrire un quadro completo,
ci limiteremo a illustrare il ruolo svolto dai due princìpi in alcuni
nodi storici significativi.
Dalla monodia al contrappunto alla monodia armonizzata
Per quanto riguarda le origini della musica colta occidentale, possiamo
ipotizzare una lunga epoca caratterizzata dalla prevalenza della monodia,
ma senza che sia
possibile dimostrare su base documentaria quanto le pratiche monodiche sconfinassero
in direzione della polifonia, o caratterizzarsi come pratiche eterofoniche. La tradizione
secolare del Canto Gregoriano dà testimonianza di un fortissimo ancoramento al testo sacro,
la cui intonazione era quasi esclusivamente monodica e omofonica. Anche più tardi,
nel XII secolo, cioè all’epoca delle prime tracce scritte di polifonia
contrappuntistica, le pratiche musicali erano tuttavia in gran parte ancorate alla monodia.
Nello stesso tempo, già intorno alla fine del IX secolo troviamo descrizioni di pratiche
polifoniche, che fanno pensare a forme di eterofonia, caratterizzate dalla introduzione da parte
di una delle voci di ornamentazioni melodiche, oppure da procedure di parallelismo improvvisato.
Le pratiche contrappuntistiche si sviluppano nel contesto indubbiamente eccezionale della scuola
di Notre-Dame a Parigi, dal quale iniziano a diffondersi in tutta Europa nel corso del XIII secolo.
Con l’avvento di una scrittura musicale
(v. invenzione e scrittura) sufficientemente rigorosa e organizzata (XIV secolo)
si ha una rapida evoluzione della polifonia contrappuntistica. Bisogna peraltro sottolineare che
la tradizione musicale europea si distingue dalle altre non per la polifonia, che è
riscontrabile nella maggior parte delle culture musicali, bensì per la rilevanza della
pratica e della teoria del contrappunto, che regola la conduzione delle parti a partire dai
concetti di consonanza e dissonanza. Nel XV secolo, all’interno della tradizione musicale
scritta, il contrappunto è ormai divenuto il punto di riferimento essenziale di ogni
pratica compositiva. Più in generale possiamo descrivere un’intera epoca della
storia della musica scritta europea (dalla fine del IX alla fine del XVI secolo) quasi
esclusivamente in termini di sviluppo, complicazione e razionalizzazione della polifonia
contrappuntistica. La complicazione è dovuta in primo luogo alla moltiplicazione
delle parti reali, da due o tre fino a quattro, cinque, sei o più voci.
La razionalizzazione dipende da istanze di vario tipo: oltre a quelle legate allo sviluppo della
scrittura musicale, possiamo citare le esigenze di carattere liturgico o pastorale, come avvenne
con il Concilio di Trento, che decretò la necessità di una maggiore
comprensibilità dei testi sacri.
L’epoca successiva della musica europea è caratterizzata da un ritorno al principio
monodico. Non si tratta però di monodia allo stato puro, bensì di un procedimento
che si inserisce in un contesto polifonico: la monodia armonizzata.
Questo passaggio, che si
prepara alla fine del XVI secolo, si consuma intorno all’anno 1600 negli ambienti della
Camerata de’ Bardi, nei dintorni di Firenze, e viene vissuto come una vera e propria
rivoluzione della pratica e della teoria musicale. Nasce il “recitar cantando”,
inteso dai sostenitori come un ritorno alla purezza della monodia greca; un ritorno ideale,
dal momento che la musica greca era sconosciuta. Non bisogna però dimenticare che
l’opera in musica propriamente detta (che si diffonde nel corso del XVII secolo
principalmente a Roma, Venezia e Napoli) viene sviluppata dagli stessi compositori che avevano
raggiunto la massima padronanza del campo della polifonia contrappuntistica: basti pensare a
Monteverdi, la cui produzione operistica non è affatto inferiore, qualitativamente
e quantitativamente, a quella madrigalistica. Con il ritorno alla monodia si determina un
cambiamento di paradigma destinato a influenzare profondamente la successiva storia della
musica occidentale. Dall’intreccio di voci o parti distinte ma tutte ugualmente
importanti dal punto di vista melodico si passa all’assoluto primato della linea del canto,
della melodia principale, una vera e propria monodia sulla quale si concentrano tutte le
potenzialità espressive e dove il testo non solo ottiene una maggiore
comprensibilità, ma viene interpretato in senso drammaturgico. La nuova pratica non
implica la rinuncia alla polifonia, né l’abolizione delle regole del contrappunto.
Piuttosto, le voci secondarie si subordinano alla funzione di sfondo armonico, come supporto
della melodia principale (v. armonizzazione),
organizzandosi in blocchi verticali di suoni simultanei: gli accordi. Solo la linea del basso
acquista gradualmente un peso strutturalmente più rilevante, venendo a svolgere la funzione
di fondamento, e ponendosi in una relazione diretta con la voce principale. Dal contrappunto
deriva anche la moderna teoria armonica, che regola la successione e la concatenazione degli
accordi, i quali risultano dalla sovrapposizione di intervalli di terza (v.
tonalità;
armonia): la loro successione è ancora
implicitamente regolata in termini di conduzione delle parti, anche se non si tratta più
di parti reali. Si ha dunque una trasformazione, una semplificazione delle regole
contrappuntistiche, non il loro completo abbandono.
Il ritorno della monodia non è privo di conseguenze di ampia portata sociale. In primo luogo
la monodia armonizzata è funzionale all’opera in musica: essa rende possibile il
dramma musicale grazie alle sue nuove risorse espressive; la sua semplicità e il suo
ancoramento a fattori extra-musicali (il dramma, la scena) rende la musica più facile
all’ascolto rispetto al contrappunto stretto, il cui pieno apprezzamento richiedeva da
una parte la conoscenza dei testi, spesso non comprensibili entro le complesse trame polifoniche,
e dall’altra la conoscenza delle regole della conduzione delle parti, la cui applicazione
decretava il valore del compositore. In questo senso il principio monodico era più
incline alla popolarizzazione: con la nascita dei teatri musicali si amplia infatti
considerevolmente lo spazio delle esecuzioni e conseguentemente il pubblico. In secondo luogo
la nuova pratica era destinata a produrre ripercussioni profonde nell’ambito della musica
strumentale: a partire dal XVII secolo la melodia accompagnata interiorizza
l’espressività del canto, diviene espressiva anche in mancanza di un testo;
inoltre la presenza di una melodia principale permette di rilevare temi e motivi,
i quali vengono a strutturare in profondità la trama compositiva nel suo complesso.
La composizione si stratifica, orientandosi su strutture polifoniche a tre o quattro parti,
interpretate però liberamente, con la melodia principale e il basso in notevole rilievo.
Il rapporto monodia/polifonia come paradigma della tradizione occidentale
Nella musica strumentale, a partire dal XVIII secolo si instaura una dialettica
consapevole di monodia accompagnata e polifonia. Lo stesso contrappunto stretto assimila il
linguaggio tonale e tende a obbedire alla logica della successione accordale, come avviene nelle
composizioni polifoniche di J. S. Bach. Tuttavia la differenza tra contrappunto e monodia
armonizzata si fa sempre più chiara: si teorizza con sempre maggiore precisione la
differenza tra stile obbligato (o composizione rigida) e
stile libero, libero cioè
da una stretta osservanza delle regole della conduzione delle parti; regole che saranno
mantenute ancora per lunghissimo tempo nell’ambito della musica sacra.
Nella prassi
della composizione libera la polifonia e la monodia accompagnata diventano due procedure
parimenti utilizzabili, che si inseriscono in un comune orizzonte compositivo determinato
dal rapporto tra articolazione sintattica della melodia (temi, frasi, motivi ecc.), successione
dei gradi armonici (tonalità d’impianto, cadenze, modulazioni ecc.) e strutturazione
del disegno formale (successione di movimenti lenti e veloci, schemi formali e loro reinterpretazioni).
In questo ambito compositivo le opere strumentali di Beethoven
sono state viste come un punto di arrivo
di un’intera tradizione, e un momento di particolare rilievo, in cui i teorici della musica
delle epoche successive scorgeranno un paradigma essenziale della composizione presa in generale.
L’emancipazione dalla pratica contrappuntistica non è mai completa: i princìpi
del contrappunto continuano a fungere da base per la formazione dei compositori di ogni epoca, e
le opere dei protagonisti della tradizione classico-romantica spesso rivelano strutture polifoniche
latenti, oltre a sezioni chiaramente contrappuntistiche all’interno di composizioni
“libere” dai vincoli dello stile rigoroso del passato. Il primato della monodia resta
naturalmente fuori discussione nell’ambito della tradizione operistica
che, almeno partire
da Mozart, riprende alcuni tratti essenziali della tradizione strumentale; tra le due tradizioni
si instaura una relazione di scambio reciproco, determinata dalla condivisione di alcuni aspetti
compositivi, che per altri versi seguono criteri di sviluppo autonomi.
Nell’ambito del teatro musicale del XVIII e XIX secolo le differenze nazionali si coniugano
proprio in termini di valore espressivo della monodia. L’opera italiana resterà
fedele alla tradizione del “bel canto”, che ha inizio intorno alla metà del
XVIII secolo in opposizione alla tradizione operistica francese, più attenta alla
qualità letteraria del testo che alla sua espressività. In Germania, con i drammi
per musica di Wagner, si delinea un modo di procedere radicalmente diverso: con
l’esasperazione delle progressioni cromatiche l’armonia si sviluppa fino ai limiti
della tonalità, mettendo talvolta in discussione l’idea stessa di un centro tonale;
la continua modulazione verso tonalità molto lontane porta alla saturazione del campo
armonico nel suo complesso, e di conseguenza rivoluziona anche il concetto di melodia.
L’idea di melodia infinita non si riferisce tanto
all’estensione che assume
la monodia accompagnata, quanto piuttosto al subentrare di un nuovo principio:
in molti casi le frasi melodiche
intonate dai cantanti non costituiscono la sostanza espressiva della composizione; al contrario,
esse introducono l’elemento narrativo e drammatico – ovvero il testo e la sua
espressività – in un contesto sotto molti aspetti pienamente sinfonico; il canto
diviene parte integrante di un insieme polifonico di linee che si piegano a processi armonici
complessi, da cui non possono essere separate poiché non si limitano a fornire un
“accompagnamento”. Melodia infinita significa dunque che tutto è melodia,
che il canto, inserito com’è in una complessa trama di linee, emerge non tanto
per la propria “bellezza” (come nel belcanto italiano) quanto grazie alla presenza
e all’azione dei personaggi: questi tuttavia partecipano a un dramma che si svolge
innanzitutto nella musica. Questo principio – al quale il melodramma italiano,
pur rimanendo a lungo fedele alla propria tradizione di bel canto, non resterà
indifferente nei suoi sviluppi durante gli ultimi decenni del XIX e i primi del XX secolo –
si pone al di là della distinzione tra monodia accompagnata e polifonia.
La composizione nel XX secolo: verso una crisi dei concetti di monodia e polifonia
La distinzione tra monodia accompagnata e polifonia contrappuntistica si carica
di significati etici con la spinta innovativa inferta alla composizione musicale da Schoenberg
e dalla sua scuola. Nel panorama compositivo dei primi decenni del XX secolo, l’idea
di monodia accompagnata e di armonizzazione, su cui si è fondata l’intera tradizione
musicale a partire dall’inizio del XVII secolo, viene sottoposta a una critica severa.
La polifonia romantica e tardo-romantica, ancorata al primato della dimensione verticale
dell’armonia tonale, viene concepita da Schoenberg e dai suoi allievi come una polifonia
“apparente”, dunque in un certo senso “falsa”, tanto da proporre un
ritorno al principio contrappuntistico più antico, quello della effettiva indipendenza
melodica e della pari importanza di parti reali. Il contrappunto come lo intende Schoenberg,
particolarmente dopo lo sviluppo della tecnica dodecafonica (v.
tecniche compositive)
è tuttavia completamente svincolato dall’armonia tonale e più in generale
dalla tonalità intesa come sistema, che veniva percepito come un fardello di convenzioni
e cliché di cui era necessario liberarsi per produrre opere innovative. Questo non
significa che Schoenberg stesso non tendesse a riprodurre entro nuovi contesti compositivi
alcune procedure legate alla tradizione, come la presenza di voci principali e secondarie,
l’articolazione sintattica di temi e motivi, la riproduzione di strutture metriche e formali.
Anche al di fuori della cerchia di Schoenberg il contrappunto viene rivalutato. Un compositore
come Hindemith ne fa ampio uso e lo concepisce come un mezzo di rinnovamento e ampliamento del
linguaggio musicale, anziché come pratica compositiva alternativa. Come molti altri suoi
contemporanei che non si riconoscono nella “nuova musica” della scuola viennese,
egli si mantiene in gran parte all’interno del linguaggio tonale, prevedendo tuttavia
momenti di sospensione, o l’emergere di dissonanze alle quali la tecnica contrappuntistica
più antica, fondata sulle regole della conduzione delle parti e ancora estranea alle
esigenze dell’armonia tonale, poteva fornire una giustificazione.
Nella seconda metà del XX secolo i contesti musicali si modificano notevolmente, al punto
che le categorie tradizionali di monodia, polifonia, contrappunto e armonizzazione tendono a
divenire inadeguate a spiegare l’evoluzione della musica d’arte. L’instaurarsi
di nuove tecniche compositive, la sperimentazione radicale delle potenzialità della voce
e degli strumenti, la nascita della musica elettronica, aprono nuove vie alla ricerca musicale.
Nello stesso tempo il progresso degli studi etnomusicologici e il notevole sviluppo della
popular music, influenzano episodicamente la stessa tradizione scritta della musica
occidentale, rendendo talora sensato il riferimento a princìpi quali l’eterofonia,
la monodia accompagnata o la polifonia tradizionale. (ACe)
Bibliografia di riferimento
Breve lessico musicale, a cura di Fabrizio Della Seta,
Roma, Carocci, 2009.
Claudio Gallico, s.v. Polifonia, in Dizionario Enciclopedico
Universale della Musica e dei Musicisti (DEUMM), diretto da A. Basso,
13 voll., Torino, UTET, 1983-1990.
Nicolas Meeùs, Scale, polifonia, armonia, in Enciclopedia
della musica, diretta da J. J. Nattiez, II: Il sapere musicale,
Torino, Einaudi, 2002, pp. 72-88.