Tipologie formali


“Non si canta semplicemente, ma si canta qualcosa”, ha scritto l’etnomusicologo Bruno Nett (The Study of Ethnomusicology. Twenty-nine Issues and Concepts, Universiy of Illinois Press, Urbana-Chicago, 1983, p. 40): il concetto di forma è in effetti vincolato a quello di musica, la quale non sarebbe altrimenti in grado di distendersi nel tempo come pensiero organizzato, ossia ‘di prender forma’.

Come è stato argomentato in modo più approfondito nella sezione riguardante i Principi formali, la costruzione musicale si basa su tre principi fondamentali: identità, non-identità/contrasto, combinazione di identità e non-identità. Vale a dire: chiamata A una determinata unità musicale, si avranno allora la forma binaria AA (in base al principio dell’identità) e la forma binaria AB (in base al principio dell’opposizione). Inoltre, dalla combinazione di identità e non-identità deriveranno la forma tripartita (ABA) e il rondò (ABACADA etc.). Più problematico per la classificazione è il rapporto identità/non identità schematizzabile come AA’, che è alla base del principio della variazione e che rappresenta altresì il senso dell’elaborazione motivica come principio compositivo. A e A’ sono infatti riconducibili ad una medesima identita nella misura in cui in A’ si riconoscono i tratti connotativi di A. Tuttavia proprio il legame ‘generativo’ tra A e A’ costituisce un importante fattore di moto attraverso il quale la forma musicale tende ad assumere un carattere dinamico e si manifesta come ‘in progressivo allontanamento’ da una idea di base.

All’interno di queste macrostrutture fondamentali possiamo beninteso individuare altre suddivisioni, via via sempre più piccole: sono, secondo l’analisi fraseologica, ciò che indichiamo con i nomi di frase, periodo, inciso, sino, al limite, alla singola nota. La segmentazione che ne deriva restituisce all’analisi il senso compiuto del ‘discorso musicale’, articolato in lemmi e sintagmi dotati ognuno di loro forma e funzione, al pari del discorso verbale, fatta salva l’evidente loro distinzione in termini di ‘contenuti’ (il contenuto del discorso musicale, difficilmente verbalizzabile, sovente non può che essere identificato nella forma stessa del discorso, e solo in certi casi rinvia a contenuti evidentemente extramusicali, v. musica e linguaggio).

E’ tuttavia possibile distinguere tra la forma intesa come organizzazione nel tempo del discorso musicale, intrinseca a ciascun atto compositivo, e forme storicamente identificate come tali. Se da una parte, infatti, ciascun atto creativo può produrre forme nuove - fino alla sostanziale negazione del concetto stesso di forma, ad esempio mediante l’improvvisazione o il ricorso all’alea (v. glossario)-, è vero altresì che i principi di organizzazione formale, assoluti trascendenti universali metastorici, si sono di fatto incarnati nella pratica compositiva ordinaria in tipologie formali vive, dotate di esistenza propria, e capaci di offrire alla composizione un materiale di confronto dialettico.

Limitandoci all’epoca moderna, possiamo infatti considerare l’aria con da capo, la fuga, il tema con variazioni, il rondò, la forma-sonata, etc. forme in possesso di un loro atto di nascita, più o meno determinato, e che tuttavia si sono diffuse ben oltre la cornice storica di origine, filiando in innumerevoli prodotti successivi, appartenenti al medesimo o ad altro ‘macrogenere’, o accomunandosi ad altre situazioni compositive in questo o quel particolare. La forma tripartita (ABA e simili), intesa nella sua generalità, si individua in ambito drammatico-musicale nell’aria con da capo, tipologia consolidatasi sullo scorcio del secolo XVIII, ma è divenuta anche il ‘pattern’ di numerose altre tipologie compositive che, parallelamente o successivamente, si sono diffuse sia nel genere strumentale o vocale (minuetto settecentesco, scherzo e forma lied romantica, applicata a un gran numero di generi diversi, vocali – il lied medesimo – o strumentali – molte delle ‘forme brevi’ della musica romantica da salotto: notturno, improvviso, scherzo, intermezzo etc.). La fuga, caratterizzata dalla presenza di determinate articolazioni del discorso musicale (esposizione, divertimenti, stretti), può presentarsi come forma a sé (tutt’al più preceduta da un brano introduttivo di diverso carattere: preludio, toccata o fantasia) ma anche divenire parte di una composizione più ampia e articolata (ad esempio come ultimo movimento di sonata), oppure ridursi a ‘principio compositivo’ – il fugato – da cui si genera una sezione di un brano, o anche un brano intero in ogni caso non riconducibile alla tipologia della fuga tout court. Il Tema con variazioni – che deriva direttamente da uno specifico processo compositivo, ovvero dall’elaborazione secondo svariate motodologie di uno schema armonico o di un motivo dato - origina nel tardo rinascimento sotto forma di serie di variazioni ornamentali su schema di basso costante, ma, pur con mutata sostanza, si insinua in tutte le forme strumentali classiche in quanto fondate sul principio dell’elaborazione motivica: e questo sia qualora esso si riconduca al principio compositivo di base (ad esempio nelle sezioni indicate come sviluppo), sia quando lo si consideri come forma definita (presente talora nei primi o negli ultimi movimenti delle forme strumentali classiche, come pure nei movimenti lenti centrali). Il rondò (ABACA) - che affonda le proprie radici nel medioevo come forma di poesia per musica, caratterizzata dal ripresentarsi di un ritornello (refrain) inframmezzato da episodi contrastanti - diviene fra l’età del barocco e il classicismo uno degli schemi più applicati nei movimenti conclusivi di svariati generi strumentali e in tipologie d’aria d’opera alternative al modello con da capo, sfociando anche in mutevoli soluzioni operistiche primottocentesche, caratterizzate eminentemente da virtuosismo vocale, prima di tramontare del tutto. La forma-sonata bipartita d’epoca barocca accomuna le danze delle suites strumentali e le sonate vere e proprie; quella tripartita d’epoca classica, derivante dagli sviluppi di quella bipartita ma non del tutto estranea neppure a quelli di certe forme d’aria, si espande ed ingloba pressoché tutti i generi strumentali classici, oltre alla vera e propria sonata, e condiziona gli orientamenti formali del secolo successivo e persino, in alcuni casi, di certo Novecento.

Occorre rilevare peraltro come lo sviluppo storico di tali tipologie formali sia stato spesso compendiato, nella pratica analitica e didattica, in schemi normativo-descrittivi astratti, di fatto incapaci di restituirne la reale complessità sia sul piano sincronico sia su quello diacronico. Il caso più caratteristico è quello della forma-sonata, cristallizzatasi a metà Ottocento (sulla base dei trattati di C. Czerny e A.B. Marx) in schema teorico sintetizzato in laboratorio, certamente mai realmente recepito in quanto tale dalla prassi compositiva sette-ottocentesca. Si è considerata pertanto la forma-sonata non come ‘organismo vivente’, dotato di un proprio equilibrio interno, diverso da epoca a epoca, da autore ad autore, e perfino da opera ad opera (emblematici i casi di Haydn, che ne è considerato il ‘padre’, e di Beethoven), bensì come architettura senza storia. Di qui la necessità di un approccio analitico ‘dinamico’, che prenda avvio dallo specifico delle diverse opere e ne ricavi casomai i tratti comuni, e non invece da uno schema compositivo astratto da applicare acriticamente ad ogni composizione.

Vale infine la pena di considerare l’incidenza, a livello delle diverse tipologie formali, di eventuali componenti extramusicali, vale a dire il testo poetico o la dimensione latamente ‘visivo-spaziale’ nelle forme rappresentative. Relativamente al primo caso, si osserva che solo raramente il testo poetico determina la forma musicale nella sua totalità: è, al limite, il caso della ballata trecentesca, la cui ripresa poetica va a coincidere con una ripresa musicale, o quello del corale luterano, in cui la scansione fraseologica del testo verbale coincide con quella della veste musicale. Più spesso le due componenti – testo e musica – si assestano secondo un equilibrio estremamente dinamico. Talora il testo prende il sopravvento, mantenendo intatta la sua configurazione metrico-strofica: si tratta di casi in cui la musica non fa che arricchirne la dimensione fonico-espressiva, come nello stile recitativo, ‘forma aperta’ per eccellenza, dove solo occasionalmente la musica si estende ‘oltre’ la parola. Talora invece musica e testo mantengono una sorta di equidistanza, riuscendo ad integrarsi senza alterare la loro propria natura: è il caso, ad esempio, dell’aria con da capo, in cui i due blocchi poetici corrispondenti alle due strofe A e B mantengono assoluta riconoscibilità, ma in cui il da capo in A’ – non indotto ‘necessariamente’ dall’assetto poetico - concede alla musica piena libertà di espressione. Infine non mancano i casi in cui la musica riplasma affatto il testo secondo le proprie modalità di formalizzazione/espressione: ciò accade fra l’altro nelle forme polifoniche quali il madrigale e il mottetto – da intendersi in senso ampio, come testo sacro intonato da un coro -, o nel concertato operistico, in cui il senso e gli affetti del testo vengono fusi in una struttura contrappuntistica che di fatto ‘si appropria’ della loro dimensione verbale, restituendola adeguatamente (e proficuamente) alterata dal reticolo polifonico attraverso cui è stata fatta passare.

Riguardo infine alla dimensione visivo-spaziale, si pensi al ruolo della musica nel melologo (in cui agisce da ‘sottofondo’ al parlato o alla pantomima della recitazione attoriale) o nelle introduzioni delle scene d’opera, dove sostiene una azione drammatica che va gradualmente profilandosi, prima dell’attacco del canto o inframezzandosi ad esso (talora sulla base di didascalie che ne denotano il senso e lo sviluppo complessivo): in tutti questi casi la tipologia formale che ne deriverà dovrà adattarsi ai tempi e all’azione richiesta. In questa casistica ricade, intuitivamente, la musica per danza e per balletto, la cui forma è ‘generata’ dall’azione e dai passi ivi richiesti (sia per quanto riguarda il ritmo che l’ampiezza in termini di numero di battute), e la musica da film, che perlopiù ricava forma e contenuti dall’azione filmica. (AC e GMo)


Bibliografia di riferimento

Carl Dahlhaus, Form, in Darmstädter Beiträge zur Neuen Musik, X, Mainz, 1966

Peter Spencer, Peter M Tenko, A Practical Approach to the Study of Form in Music, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1988