Linea dorata

Persona

La definizione boeziana. Utilizzato già nella prima Cristianità in relazione al dogma della Trinità per indicare le tre ‘ipostasi’, Padre, Figlio e Spirito Santo, il concetto di ‘persona’ fu introdotto nella speculazione mediolatina da Severino Boezio; il termine, che traduce il greco ypostasis, indicava nella definizione boeziana originaria ogni ‘sostanza individuale di natura razionale’ (“naturae rationalis individua substantia”, De persona et duabus naturis, cap. 3, P.L. 64, 1343), in riferimento ad ogni creatura che condividesse con Dio la natura intelligente. Se in tale contesto la speculazione era orientata verso un dualismo antropologico piuttosto radicale, che conduceva ad identificare la nozione di persona con la sola anima razionale individuale, escludendo il corpo, il termine acquisce l’accezione a noi nota nel quadro teorico del XIII secolo, momento in cui comincia a giocare un ruolo significativo nella tradizione del pensiero occidentale.
La storia del concetto di persona nel medioevo appare inevitabilmente connessa a due aspetti della riflessione filosofica: da un lato, in senso più antropologico, il suo riferirsi in un primo momento alla sola anima e poi al composto di anima e corpo, vede l’uso del termine in relazione alla questione su che cosa sia propriamente ‘uomo’; dall’altro, sul piano logico-ontologico, il senso del termine si sviluppa nel più complessivo quadro del concetto di ‘individuo’, o ‘sostanza individuale’.

Persona, suppositum, individuum. Sotto questo riguardo, come precisa E. H. Wéber, il mondo latino dispone di altre due nozioni strettamente collegate al concetto di ‘persona’, per designare realtà singolari, ovvero quelle di ‘suppositum’ e ‘individuum’: con il primo si intende “il soggetto individuale come realtà singola che possiede una natura determinata, in relazione alla sua parte formale”, mentre il secondo indica “il soggetto singolo di una natura determinata che individua la sua materia. Applicato all’uomo (…) è stato adottato per designare una realtà singola che non deve l’individuazione alla materia” (Wéber, La personne humaine au XIIIè siècle, p. 496, in trad.).
In tale prospettiva è da considerare il problema relativo all’individuazione delle realtà singolari, che si estende agli individui umani: la molteplicità delle anime è determinata dalla pluralità dei corpi oppure è da cercarsi altrove la radice di tale diversità? Gli sviluppi dell’antropologia duecentesca portarono all’elaborazione di soluzioni differenti circa il rapporto tra i due principi costitutivi dell’essere umano, con rilevanti conseguenze nella messa a punto dei concetti di persona ed individuo.

Gli sviluppi del concetto di persona nell’antropologia del XIII secolo. Nel corso del Duecento nuovi testi, di carattere naturalistico e medico, avevano messo in circolazione idee che minavano profondamente la considerazione tipicamente agostiniana dell’essere umano, che faceva coincidere l’essenza del singolo individuo con la sua anima immortale. L’iniziale riconsiderazione del concetto di persona tuttavianon trovò spazio vitale tanto nell’ambito degli sviluppi delle discilipline naturalistiche, quanto, sulla scorta dell’approccio già proprio di Boezio, in campo teologico. In particolare, si faceva riferimento a tale nozione nella formulazione del dubbio relativo alla natura del Cristo, fatto uomo, nei tre giorni tra la morte sulla croce e resurrezione. Ci si chiedeva infatti se, in tale intervallo di tempo, Gesù fosse ‘persona’ nel senso proprio del termine. A testimonianza di un dualismo ormai mitigato, teologi come Guglielmo d’Auxerre e Bonaventura avanzavano dubbi al riguardo, perché l’unione dell’anima con il corpo appariva come un aspetto ‘naturale’ (nel senso che l’anima era caratterizzata da una naturale inclinazione verso il proprio corpo), mentre di parere opposto, circa un secolo prima, era stato Ugo di San Vittore, nel sostenere che l’essere persona risiedesse interamente nell’anima umana..

La riflessione di Tommaso d’Aquino. La definizione boeziana fu ripresa e sviluppata, dopo il tentativo di riflessione sul tema della singolarità e individualità effettuato nel XII sec. da Gilberto di Poitiers, in modo assai fecondo da Tommaso d’Aquino: egli chiariva il senso della proposizione di Boezio in relazione al duplice significato del termine ‘sostanza’, che si usa sia per indicare un soggetto sussistente (che in questo caso può essere definito ipostasi, o persona), sia la natura o l’essenza di una cosa. Si tratta evidentemente di due sensi ben distinti, come prova il fatto che non identifichiamo questo uomo e la sua propria umanità.
Seguendo Boezio, nella Summa theologiae I, q. 29, l’Aquinate afferma infatti: “omne individuum rationalis naturae dicitur persona”. L’idea che l’essere umano sia una realtà singolare che esercita la conoscenza, capace di operare secondo la propria volontà in modo autonomo, si fonda sulla tesi dell’appartenza dell’intelletto al soggetto individuale, esplicitamente formulata contro Averroè e i suoi seguaci nello scritto polemico De unitate intellectus contra averroistas. Nella composizione di materia e forma, corpo e anima, sono detti appartenere all’essenza dell’uomo: come si dice nel Commento alla Metafisica VII lect.11 § 1535: “Hic homo ex hoc corpore et ex hac anima”. Questo non significa che l’anima intellettiva, come si legge nel De Spiritualibus creaturis, sia individuata dalla materia come le forme materiali, ma in relazione alla materia, dal momento che possiede una naturale disposizione ad essere forma del corpo.

Gli sviluppi successivi. L’influenza esercitata dalla concezione antropologica dell’Aquinate sulla tradizione successiva non ha condotto immediatamente a risultati significativi in merito alla questione; anche un autore come Egidio Romano, che fece proprie assunzioni controverse quali l’unicità della forma sostanziale, in polemica con i suoi contemporanei, spesso critici dell’Aquinate, non saldò tale concezione ad un attento esame delle nozioni così articolate da Tommaso.
L’impulso più significativo in questa direzione è da rintracciarsi, nel secolo successivo, nel contesto della speculazione di Duns Scoto. A Duns infatti si attribuisce il tentativo di dare una formulazione appropriata della modalità con cui ogni ente differisce rispetto ad un altro della medesima specie: a tale scopo si deve l’introduzione del concetto di hacceitas (ecceità), per indicare quell’elemento formale che si aggiunge alla natura communis (propria di tutti gli individui della medesima specie) nella costituzione di ogni realtà individuale. (PB)

Bibliografia
E. H. Wéber, La personne humaine au XIIIe siècle, Paris, Vrin 1991

 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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