Economia
Economia e vita morale.
La dottrina economica o dispensativa era una
delle partizioni della filosofia pratica (etica,
economica e politica), introdotta fra il XII
e il XIII secolo a partire dalla nuova suddivisione
delle discipline filosofiche basata sul corpus
degli scritti di Aristotele. Già la traduzione
che lo spagnolo Pedro Gallego aveva fatto di
un trattato di Yconomica dall' arabo aveva introdotto
concezioni aristoteliche; il trattato di Aristotele
sull'economia venne invece tradotto più
tardi, alla fine del XIII secolo. Fino al XII
sec. la riflessione economica cristiana si era
incardinata sull' utilizzazione dei beni terreni
per fini etico-religiosi, utilizzando le categorie
agostiniane di uso e godimento <testo 1>.
Nei secoli altomedievali avevano cominciato
a formarsi, in relazione con la sfera del sacro,
categorie che caratterizzeranno la riflessione
economica successiva: la razionalità
dell’organizzazione nel monachesimo, l’idea
della chiesa come corpo collettivo e quella,
ad essa contigua, della “ricchezza come
sistema di possessi cristiano se vissuta in
spirito di povertà” (Todeschini),
portando infine alla legittimazione della produttività
della ricchezza e del denaro. La complessa riflessione
sul rapporto fra vita morale e problematiche
economiche, che attorno alla metà del
Duecento aveva cominciato a prendere forma presso
diversi esponenti degli ordini
mendicanti, si confrontò, attraverso
l’introduzione delle concezioni aristoteliche,
con la possibilità di una considerazione
naturalistica e tendenzialmente laica della
proprietà e della ricchezza. <testo
2> Fino agli inizi del XIV sec. tuttavia
l’economia rimase strettamente collegata
alle teorie etiche e la teoria della moneta
restò aristotelicamente ancorata alla
tradizionale concezione della moneta-segno,
il cui valore dipende dal ‘nome’
(valore nominale) imposto ad essa dal sovrano.
Il denaro. Gli
scambi monetari, che avevano subito una vistosa
contrazione durante l' Alto Medioevo, ripresero
vigore nei secoli XII e XIII, determinando le
prime incrinature in una teoria che non riusciva
più a spiegare i fenomeni che si determinavano
in un mercato sempre più vasto, ove monete
coniate da sovrani diversi - e dunque con ‘nomi’
diversi - coesistevano. Un primo cenno di novità
si era già avuto con Leonardo Fibonacci
(1170ca.-1250ca), il matematico pisano la cui
opera maggiore, il Liber abaci, era un trattato
di aritmetica per i mercanti; proprio nel Liber
abaci egli afferma infatti che "si definisce
moneta più forte (maior moneta) quella
in cui vi è più peso d' argento
[...] poiché la moneta è fatta
di un misto di argento e di stagno." Poco
a poco la moneta viene ad essere pensata come
una merce, il cui valore dipende dalla quantità
di metallo prezioso che essa contiene. Su questa
linea troviamo Il De mutationibus monetarum
di Nicola
Oresme, uno dei primi trattati autonomi
sulla teoria della moneta; anche Giovanni
Buridano aveva composto un' opera analoga
e in Inghilterra diversi scritti dello stesso
genere vennero prodotti nella stessa epoca (metà
del XIV sec.). La trattatistica trecentesca
si colloca sullo sfondo di quella che la letteratura
specialistica ha definito una vera e propria
‘guerra monetaria’, sviluppatasi
a partire dalla crisi legata alla svalutazione
effettuata, attraverso il conio di moneta con
lega impoverita (diminuta a legitimo pondere),
da Filippo il Bello, contro cui l’Inghilterra
cercò di difendersi a partire dagli statuti
del 1299 contro la ‘falsa’ moneta,
mentre i canonisti schierati a fianco del nemico
mortale del re di Francia, papa Bonifacio VIII,
elaborarono sul piano dottrinale la teoria della
‘falsa moneta’ (moneta defraudata)
e coniarono per il re il titolo di ‘falsario’.
Partendo invece dal rifiuto della concezione
tradizionale aristotelica della moneta come
simbolo o misura del valore, Oresme afferma
che essa è "strumento per lo scambio
delle ricchezze naturali", che ha valore
in sé, e che tale valore è determinato
dalla sua composizione (oro, argento, misto
di argento e metalli inferiori). Questo assunto
di fondo si accompagna al tema aristotelico
dei limiti del potere
regio <testo 3>. Che i sovrani fossero
attratti da qualsiasi mezzo permettesse loro
di incrementare le proprie ricchezze lo mostra
anche, in questa stessa epoca, il frequente
interesse che essi manifestano per l'alchimia
nel suo aspetto di arte della trasmutazione
dei metalli; era infatti assai allettante pensare
che, mediante tecniche segrete, si potessero
trasformare masse ingenti di metallo vile in
oro o in argento. Ben presto però il
discorso alchemico fu accostato alla discussione
sulla falsa moneta, portando alla condanna degli
alchimisti come falsari da parte di Giovanni
XXII.(MP)
Bibliografia
A. Murray, Ragione e società nel Medioevo,
Editori Riuniti, Roma 1986
G. Todeschini, I mercanti e il tempio. La società
cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza
fra Medioevo ed Età Moderna, Il Mulino,
Bologna 2002
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