La filosofia come professione
Fin dagli studi di Mandonnet era emerso il rilievo di una corrente
filosofica contro la quale Tommaso d’Aquino aveva polemizzato
e che si rifaceva a un interprete islamico di Aristotele, Averroè.
L’importanza di questo pensatore e dei suoi seguaci occidentali
è stata messa in rilievo anche da due studiosi legati al
modernismo: Ernest Renan e, in Italia, Bruno Nardi i cui studi sulla
filosofia in Dante
avevano messo in luce la varietà di posizioni e di fonti
dei pensatori scolastici, contemporaneamente ma autonomamente rispetto
alle ricerche di scuola francese. Nell’ultimo decennio del
XX sec. la riflessione sull’‘averroismo
latino’ ha messo in luce, accanto agli aspetti dottrinali
già ampiamente studiati, due elementi rilevanti per l’interpretazione
della filosofia medievale (o, più propriamente, del tardo
medioevo) nel suo complesso. Ai seguaci latini d’Averroè
si deve infatti il riconoscimento della filosofia come ricerca intellettuale
indipendente dalla riflessione sui dati della fede e come autonoma
via alla vita felice; questo ideale filosofico di vita, legato alla
riflessione sull’Etica Nicomachea di Aristotele, si diffuse
in ambienti e pensatori laici a partire dalla fine del Duecento,
come hanno mostrato gli studi di Alain De Libera e Rüdi Imbach.
Sul piano dell’interpretazione complessiva del pensiero medievale
questa idea porta a rivolgere l’attenzione alle concrete modalità
di esercizio della filosofia, non esclusivamente in ambiente cristiano
ma in tutte le civiltà mediterranee nelle quali il confronto
con le fonti filosofiche greche si è esercitato. Si è
arrivati così a riconoscere che nei mille anni del medioevo
lo studio della filosofia è stato esercitato in diversi contesti
culturali e che l’eredità classica è giunta
al mondo latino attraverso varie dislocazioni e vicissitudini storiche
(nel medioevo questo processo fu definito translatio studiorum):
esemplificativo di questa corrente interpretativa è il manuale
dello stesso Alain De Libera. |