Il XIV e il XV secolo
Gli ultimi due secoli del medioevo sono un’epoca di conflitti:
fra il potere politico e quello ecclesiastico nel XIV secolo; mentre
nel XV i conflitti scoppiano fra gli stati nazionali (Guerra dei
Cent'anni tra Francia e Inghilterra,1339-1423); e all’interno
della chiesa, che vede acutizzarsi la contrapposizione fra una concezione
ecclesiologica centrata sul potere del papa e della curia ed una
spirituale e comunitaria, a partire dal papato di Avignone fino
ai primi decenni del ‘400, l’epoca degli antipapi e
della problematica conciliaristica (concili di Costanza, 1414-18;
e di Basilea, 1431-49). Il XIV è un secolo di fioritura intellettuale,
d'innovazione, di critica che vede l'articolarsi delle posizioni
sugli universali,
con varie forme di realismo (legato a concezioni platoniche) e di
nominalismo; forme diverse di rapporto fra logica, fisica e teologia,
in particolare sul tema dell'onnipotenza
divina; l'emergere di concezioni della natura alternative a
quella aristotelica: la teoria dell'impetus
elaborata dai fisici nominalisti parigini; lo sviluppo di ipotesi
contrafattuali da parte dei Calculatores
di Oxford; l’idea alchemica
di un’integrazione fra creazione e trasformazione del mondo,
che si serve della logica lulliana dei correlativi.
I pensatori più rilevanti dell’epoca elaborano i loro
sistemi dopo la crisi determinata dalla condanna
del 1277, che mostrò il carattere non definitivo della sintesi
aristotelico-cristiana ricercata dagli scolastici e realizzata al
massimo livello da Tommaso
d’Aquino. In Germania alcuni magistri domenicani che avevano
studiato a Colonia sotto la guida di Alberto Magno ne sviluppano
in maniera originale le tematiche relative all’intelletto:
Teodorico
di Vriberg (1270-1320) lo identifica con l'abditum mentis (il
fondo dell’anima) e lo concepisce come sostanza dinamica che
è in quanto opera; su questa linea si colloca anche Eckhart
(1260ca-1328), che inoltre elabora la nozione dell’essere
divino come ‘purezza dell’essere’ ponendola in
relazione con le tematiche neoplatonico-dionisiane della teologia
negativa; entrato in contatto con l’opera della beghina
Margherita
Porete (m.1310) dà un’interpretazione filosofica
della nozione di ‘anima annichilata’, liberata cioè
dai limiti dell’individualità attraverso l’esperienza
mistica, leggendola alla luce della nozione di ‘fondo dell’anima’
e connettendola all’ideale etico aristotelico della vita felice
nella nuova figura dell’‘uomo nobile’, affine
all’idea dantesca di nobiltà. I temi della filosofia
neoplatonica vengono sviluppati nel commento di Bertoldo
di Morsburg alla Elementatio theologica di Proclo. A Parigi
il francescano Giovanni
Duns Scoto (1265-1308), pur appartenendo cronologicamente quasi
per intero al secolo precedente, si colloca con la sua ricerca nitidamente
oltre l’orizzonte tomistico, mettendo al centro della propria
filosofia i temi dell’univocità dell’essere,
della conoscenza individuale e della potenza assoluta di Dio. Francescano
è anche l’inglese Guglielmo
di Ockham (1285ca-1349), la cui carriera di magister nell’università
di Oxford fu stroncata dall’opposizione contro le innovazioni
filosofiche da lui proposte: la contingenza e l’individualità
al posto della catena ontologica di enti, il raccordo fra potenza
assoluta di Dio e ordine della creazione (garanzia della possibilità
per la ragione umana di riconoscere la regolarità naturale)
attraverso la nozione di ‘patto’, l’integrale
nominalismo logico, secondo cui l’universale è un puro
contenuto mentale (intenzione)
che significa l’individuo e la specie, l'idea di conoscenza
come intuizione.
Attorno alla gnoseologia intuitiva di Ockham si sviluppa un'ampia
discussione, nella quale spiccano le posizioni di Pietro
Aureolo, Gregorio
da Rimini e Nicola
d'Autrecourt. La dottrina politica dell’indipendenza dell’imperatore
dal papa, sviluppata da Ockham dopo la fuga dal carcere papale di
Avignone insieme al francescano spirituale Michele da Cesena (1329),
si colloca a fianco delle dottrine politiche di Marsilio
da Padova (1275ca-1342) e di Dante
Alighieri (1265ca-1321): soluzioni diverse alla tradizionale
discussione sul rapporto fra i due poteri, che prendono le mosse
dalla Politica di Aristotele per riformulare teoreticamente la nozione
stessa di potere nel contesto del profondo mutamento politico dell’Europa,
ma da Aristotele si distaccano in larga misura, sulla base dell’attenzione
alla realtà empirica del loro tempo. Altri saperi specialistici
riguardanti la natura e il corpo umano vengono articolandosi e lentamente
staccandosi dalla cornice universalistica della filosofia aristotelica
nel corso del ‘300: oltre alla medicina,
anche la fisiognomica;
l’astrologia
e l’alchimia
fanno ancora parte del patrimonio intellettuale condiviso, pur proponendo
un’idea di interazione con e trasformazione della natura la
cui matrice non è la fisica aristotelica, ma l’ermetismo.
Il XV secolo vede, col moltiplicarsi
delle università e la diffusione
nel centro e nel nord Europa della cultura
elaborata nelle sedi tradizionali d’insegnamento,
una cristallizzazione delle posizioni
scolastiche nella contrapposizione delle
‘vie’, ovvero dei più
rappresentativi sistemi filosofici elaborati
fra Due e Trecento: la ‘via di Tommaso’,
la via moderna (i seguaci di Ockham, fra
cui spiccano Gabriele
Biel e Paolo
Veneto), la via antiqua (i seguaci
di posizioni albertiste, come Eimerico
da Campo, 1395-1460), insieme ai fermenti
umanistici iniziati già nel secolo
precedente fra i laici come Francesco
Petrarca (1304-1374). La diffusione delle
discussioni filosofiche anche al di fuori
delle scuole, soprattutto nelle corti
e negli ambienti umanistici, produce in
Francia l’opera di Christine
de Pizan (1363-1430ca), di capitale
importanza per l’emergere del dibattito
su uguaglianza e diversità fra
uomo e donna, che proseguirà in
età moderna con la cosiddetta ‘querelle
des femmes’. L'università
diventa il terzo potere dopo la chiesa
e gli stati (sacerdotium, regnum, studium)
e può rivelarsi sia organica ad
uno dei due altri (al potere ecclesiastico,
secondo la posizione teocratica espressa
nel XIII sec. da Egidio
Romano, che utilizzava la nozione
teologica di gerarchia; al potere regio,
secondo le elaborazione dei giuristi al
servizio di Filippo il Bello che utilizzano
fra l’altro la metafora organicistica
che paragona lo stato al corpo umano,
introdotta da Marsilio da Padova, per
sostenere attraverso l’equivalenza
cuore-cervello l’ordinamento non
gerarchico dei due poteri); sia critica
nei confronti della problematica ecclesiologica,
come mostrano la distinzione fra Santa
Chiesa la Grande e Santa Chiesa la Piccola
nella mistica proposta da Margherita
Porete, condivisa da altri esponenti
del mondo beghinale
e della mistica speculativa; nonché
la valorizzazione della spiritualità
laica e l’emergere dell’idea
di chiesa nazionale, dapprima con Giovanni
Wyclif (1330-1384) e poi con Giovanni
Hus (1372-1415). Il filosofo più
rappresentativo del secolo è Nicola
Cusano (1401-1464), che per la tematizzazione
del rapporto fra finito e infinito nel
rapporto fra Dio e mondo e per la sua
originale dottrina della conoscenza come
‘dotta ignoranza’ viene usualmente
considerato come il primo filosofo ‘moderno’.
Cusano condusse la sua ricerca filosofica
al di fuori degli ambienti universitari,
nel vivo delle problematiche conciliaristiche
e più in generale politiche: il
De pace fidei, dialogo fra religioni
che presenta la prima espressione filosofica
dell’idea che la modernità
avrebbe denominato ‘tolleranza’,
fu scritto nel 1453, all’indomani
della presa di Costantinopoli da parte
dei turchi. Una delle conseguenze di questo
evento fu la venuta in Italia di filosofi
e teologi bizantini, che rafforzò
la ripresa di contatti già iniziata
con la presenza di alcuni di essi al concilio
di Firenze e Ferrara (1433-34): Giorgio
Gemisto Pletone, Giorgio Scolarios, Giorgio
di Trebisonda, Giovanni Bessarione introducono
le opere di Platone e l’esigenza
filosofica della conciliazione di Platone
e Aristotele, che sarà fatta propria
da molti degli autori raccolti nell’Accademia
platonica, fondata a Firenze nel 1440:
si apre così la stagione della
filosofia rinascimentale, su cui influisce
anche la letteratura filosofica ebraica
prodotta in lingua latina da autori come
Hazdai Crescas (m. 1410), Isaac Abrabanel
(1437-1508) ed Elia Delmedigo (1460-1497),
che reintroducono nelle discussioni filosofiche
le tematiche cabbalistiche.
La fine del Medioevo è contrassegnata
filosoficamente dalla rottura con la logica
tardo-scolastica e con la dipendenza da
Aristotele, dunque col movimento avviato
nel XII secolo, e il Rinascimento costruirà
la propria identità filosofica
a partire dalla programmatica polemica
antiscolastica (Garin, Rinascite e rivoluzioni).
Ma per quel che riguarda altre forme di
pensiero - per esempio i saperi scientifici:
la fisica nominalista, la medicina, le
dottrine ermetico-pratiche - la cesura
fra Medioevo e Rinascimento non è
né così netta né
contemporanea alla critica umanistica
della filosofia scolastica. Quest’ultima
continuò a vivere nelle università,
i cui contenuti si trasformano in maniera
assai più lenta e impercettibile:
fra '500 e '600 si ha una ripresa del
pensiero scolastico, la 'seconda
scolastica', che trova espressione
nei commenti aristotelici di Coimbra (Conimbricenses).
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