In effetti il breve di Paolo II del 1467, che trasferisce anche formalmente la maggior parte dell'autorità sullo
Studio dalle magistrature comunali al governatore pontificio, apre una lunga fase di crisi istituzionale, caratterizzata
da numerosi interventi normativi, ma sulla quale soltanto Urbano VIII, con la riforma del 1625, interverrà in maniera
significativa. Affidando il governo dello Studio al vescovo e ai collegi dottorali, secondo un modello che altrove
era già da tempo sperimentato, il pontefice ridisegnò dalle fondamenta il profilo istituzionale dell'Università di
Perugia, che in questo assetto, con poche variazioni, giungerà alla cesura dell'età rivoluzionaria.
Solo in parte la periodizzazione suggerita dall'Ermini per la storia istituzionale si adatta alle vicende
dell'insegnamento, per quanto riguarda gli aspetti più propriamente culturali. Un elemento di lunga durata è
certamente il fatto che attraverso i secoli gli insegnamenti giuridici continuano a costituire il vanto
dell'Università perugina, e impegnano la
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maggiore attenzione delle autorità preposte al suo funzionamento. Nel periodo delle origini, proprio grazie agli
insegnamenti giuridici lo Studio perugino è tale da gareggiare con le sedi più prestigiose, ed è pienamente in
grado di approfittare dei momenti di chiusura dello Studio bolognese, offrendo anche agli studenti costretti a
lasciare l'alma mater studiorum insegnamenti di altissimo livello. Parlando di Cino da Pistoia, chiamato
a Perugia probabilmente nel 1326, Ennio Cortese osserva: "dopo di lui lo Studio umbro divenne uno straordinario
palcoscenico sul quale sfilarono nel corso del Trecento i massimi astri del diritto civile". Fu infatti nelle
discipline giuridiche che Perugia raggiunse in questo secolo la massima fama, grazie alla sua capacità di
attrarre sulle cattedre dello Studio prestigiosi docenti forestieri e al tempo stesso di esprimere grandi
figure di maestri cittadini: basti ricordare i nomi di Bartolo da Sassoferrato († 1357) e di Baldo
degli Ubaldi († 1400).
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