Certosa di Pontignano Centro Congressi - Università degli Studi di Siena
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storia

Come è nata la Certosa di Pontignano

Nel 1341 Bindo di Falcone, signore senese arricchito con i commerci fatti soprattutto con il Papato, acquistava terre e beni nel "comunello" di Pontignano e li donava ad un certosino di Aquitania, frate Amerigo, per fabbricare un monastero da intitolare a San Pietro. Erano quelli gli anni in cui l'ordine dei certosini si andava espandendo in Italia e la toscana era una delle terre prescelte. Sorsero così diversi monasteri,: primo fra tutti, quello di Maggiano fatto costruire dal Cardinale Riccardo Petroni, cugino di Bindo di Falcone, nel 1314. Seguirono le costruzioni della Certosa di Belriguardo, grazie al sostegno del banchiere Niccolò Cinughi e quella appunto di Pontignano.

Bindo di Falcone che già aveva seguito i lavori di Maggiano, quale esecutore testamentale del cugino Cardinale otteneva l'8 agosto del 1343 dal Vescovo l'autorizzazione ad innalzare la Certosa che prevedeva la realizzazione di una chiesa oltre ai chiostri, alle celle e agli edifici di servizio ove potessero trovarvi dimora dodici padri, tre conversi, e i servi". Nonostante l'affascinante progetto i certosini erano restii ad andare a vivere a Pontignano: Messer Bindo decise allora di pagare a Papa Clemente VI una ricca indulgenza a favore dei dieci monaci che, andando a vivere e a morire nella nuova Certosa, avrebbero Ultima sorta, quella di Pontignano è l'unica Certosa che mantiene aspetto e tono originario da oasi di pace. Le altre due, Maggiano e Belriguardo, furono infatti adibite ad usi diversi da quelli originari. L'impianto architettonico generale risente naturalmente dei vari interventi succedutesi nel tempo.
Il modulo costruttivo ricalca quello tradizionale dei monasteri certosini con la suddivisione in tre parti: l'area destinata ai monaci contenente celle e articolata intorno al grande chiostro; quella adibita all'alloggiamento dei conversi e infine lo spazio riservato alla chiesa, al capitolo e al refettorio attorno al chiostro piccolo vero e proprio cuore del complesso. La chiesa primo edificio ad essere costruito, mantiene alcuni caratteri del XIV secolo, come lo spessore dei muri perimetrali e le arcature.

Sorta in aperta campagna e al confine tra gli stati di Siena e di Firenze la Certosa aveva bisogno di delimitare i propri confini e di essere difesa dalle scorribande dei mercenari. Nel 1385 lo stato di Siena, riconoscendo l'importanza dell'insediamento faceva costruire una robusta cinta muraria. E sempre a partire da quell'anno fu nominato priore di Pontignano Stefano Maconi, discepolo prediletto di Santa Caterina , e fu probabilmente lui ad ottenere per il convento la reliquia dell'anulare della Santa, per il quale fu costruita la cappella, affrescata più tardi dal Nasini. La certosa godeva anche dalla protezione di Gian Galeazzo Visconti per i meriti acquisiti da un monaco di Pontignano che diresse buona parte dei lavori di costruzione della Certosa di Pavia.
Nonostante le difese del pieno della guerra tra Siena e Firenze la certosa fu violata e saccheggiata. Nel 1449 una banda di fiorentini vi penetrò e al tempo della Congiura dei Pazzi venne incendiata. Subito ricostruita dovette immediatamente dopo subire nuovi danni: nel 1554 infatti milizie tedesche e spagnole misero a sacco il monastero.

Nel corso della seconda metà del XV secolo, apporti rinascimentali dettero notevole impulso alla costruzione. Questi interventi sono visibili principalmente nel chiostro che si sviluppa nel lato lungo della chiesa, la cui pianta quadrata, con cinque campate per lato e volte a vela sorrette da colonnette con capitelli ionici mostra chiari caratteri di equilibrio e sobrietà. Altri interventi di modesta entità si ebbero alla fine del '600, allorchè furono ristrutturati i locali posti lungo il lato est del monastero: le sei Cappelle precedentemente costruite furono unificate nel cosiddetto Cappellone. Infine nel 1703, venne edificata la Cappella di Sant'Agnese, la cui porta di ingresso è situata all'estremità del braccio est del chiostro grande.
I Certosini che avevano abitato con cura Pontignano e che ne avevano fatto un'oasi di pace lasciarono la Certosa verso la fine del '700. Con rescritto del 16 luglio 1785 Pontignano fu concesso ai camaldolesi, che dovettero abbandonarlo a seguito delle soppressioni napoleoniche. A Pontignano fu allora trasferita la parrocchia di San Martino a Cellole; le fabbriche, ad eccezione di quelle destinate all'alloggio del curato, furono acquisite, insieme all'antica clausura e ad alcuni poderi, della famiglia Masotti, che nel 1886 le vendette ai Cecchini, dai quali passarono nel 1919 ai Sergardi e da questi, nel 1939, alla società Certosa di Pontignano della quale era azionista il professore Mario Bracci.
In quello stesso anno futuro Giudice costituzionale le curava, a sue spese, il restauro della villa e del piccolo chiostro di mezzo. Durante tutto il periodo bellico Pontignano fu il rifugio sicuro per ebrei e perseguitati politici. Nel 1959 il complesso fu acquistato dall'Università di Siena che da allora lo ha destinato a residenza universitaria.

Gli ampi rifacimenti rinascimentali e quelli successivi non hanno alterato quell'armonia che era alla base della vita dei Certosini; l'equilibrio dell'uomo con la fede e la natura. Il chianti appare qui nei sui caratteri meno aspri, i colli accompagnano il passaggio verso la vicina Siena; viti e olivi circondano la Certosa e una campagna curata vi penetra dentro trasformandosi in preziosi giardini.

Non c'è dunque separazione tra esterno ed interno; tra l'ambiente e la sua armoniosa struttura architettonica e le opere d'arte che l'arricchiscono. E' nelle chiese in particolare che si trovano le testimonianze più rilevanti. La prima, costruita a una sola navata e suddivisa in tre campate coperte con volte a vela presenta al suo interno una parete in muratura con un'apertura al suo centro che aveva il compito di suddividere il suo spazio in due zone di ampiezza diversa: una per i monaci, l'altra -la minore- per i conversi. Qui operò soprattutto un pittore fiorentino Bernardino Poccetti che aveva lavorato per i certosini anche a Calci e a Firenze seguendo i canoni rappresentativi seguendo i canoni della pittura della Controriforma.
Testimonianze della sua arte si evidenziano nelle pareti con le storie certosine di San Brunone e di San Pietro, nella tela e nelle decorazioni dell'altare maggiore. Con il coro del legnaiolo Domenico Atticciati le decorazioni creano una sorta di "macchia manifesta".

Il resto della decorazione fu compiuta da Orazio Porta, Stefano Cassini e da pittori senesi che denotano chiare derivazioni dallo stile di Francesco Vanni e Alessandro Casolani. Al Poccetti si deve anche l'affresco con "L'ultima Cena" nel refettorio (1596), e un affresco "Samaritano al Pozzo" entro una delle cellette dei monaci nonché una lunetta con " Morte di San Brunone" su una porta in corrispondenza del cimitero. Nel Cappellone, attiguo alla chiesa, la tela dell'altare maggiore è attribuita a Francesco Vanni, mentre le decorazioni e gli affreschi delle pareti sono attribuiti a Nicola Nasini e a suo figlio Apollonio.

Nella cappella a destra della chiesa piccola, l'altare presenta un "Compianto di Cristo morto e i Santi" opera recentemente ricollegata al nome di Cristofano Rustici, quale ulteriore testimonianza dell'attività qui svolta da artisti di scuola senese.

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