Roberto Mussapi
In taxi
A sinistra l'ininterrotta scia dell'acqua,
il lento moto liquido, le case, capanni,
barche ondeggianti vuote accanto ai pontili
e una canoa lontana che tagliava la corrente.
La breve corsa ebbe termine, fummo fermi,
mi accorsi del suo collo di schiena,
largo sul giaccone, sul corpo robusto da sessantenne.
E nella linea che partendo dal mezzo dei miei occhi
idealmente trapassandogli il capo nel centro dei suoi,
esattamente dove batte lo sguardo io vidi sul cruscotto
un portafoto a calamita di finta lucertola verde.
Davanti all'occhio sinistro un uomo anziano
con la barba, la giacca austera e seria da posa,
a destra una donna con una borsa tenuta con imbarazzo,
anziana ma non vecchia, su un campo
stinto come il paesaggio e gli alberi e il cosmo
in qualche povera campagna dell' Italia.
Così, nel bianco e nero sfumato dal tempo
nella luce ingiallita dalla luce irradiante
nell'abitacolo offeso dallo splendore dell'aria
io conobbi suo padre e sua madre,
apposti alla prua del suo viaggio di ogni giorno,
quasi tenuti in vita con la forza degli occhi.
Quelli non li conobbi, né il nome,
se non per il sacrario dove battono
nel tempo quotidiano e dove i miei li seguirono.
Ascoltami, fratello, fu quello il viaggio che oscurò
il mio sguardo.
Lì ho conosciuto la desolazione dell'oceano,
ho passato Finisterre e mi sono perduto nell'abisso,
fu il più disperato naufragio, in una strada di Firenze,
accanto alla ramata onda tartarica
fluente nel letto ostile e ermetico,
mentre pagavo la corsa e lo perdevo per sempre.
Il percorso delle ore
II tempo trascorreva incluso in un cerchio
e tutto il tuo giorno fu scandito da una lancetta,
con i secondi che chiamavano fatalmente i minuti
edificando la piramide di polvere e sabbia
che svanisce con la luce e l'apparire del buio.
Ma qualcosa passava laterale e distante,
un fremito della freccia sul quadrante,
da un universo lontano e inconosciuto.
Fu interruzione,
fu come la voce roca, impersonale, gracchiante,
che penetra nella voce della radio e la sfrangia,
o un incompreso unisono,
un'ora identica da un pianeta distante,
su questo globo, nella tua valle
come quando guidavi ed eri immobile e mosso dal tempo,
non dalla sua irrealtà ma dalla sua potenza fredda,
finalmente inconsapevole di stasi e movimento?
Fu solo un'interferenza
nella regola cieca del cerchio e del quadrante,
o la vocazione di quel meccanico battito
al tuo, ventricolare e profondo,
come se altri da lontano fossero in te e nel tuo tempo,
chi era, chi respirava lontano da te e al tuo fianco.
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