La terminologia del 'perdono'Abstract tesi di dottorato di Giulia CanediRiflettere
sul
perdono: "una linea
sottile tra l'amnesia e il debito infinito" (P. Ricoeur, 2004, p.
118).
L'apparente ovvieta' del concetto di perdono si scontra, nel
dibattito
filosofico, con una notevole difficolta' nel definirne i confini.
Il
perdono "puro" tende a delinearsi come un atto sovraumano e
impraticabile,
mentre il
perdono che gli uomini quotidianamente concedono e desiderano rischia
in vario
modo di sconfinare all'interno di altre dinamiche di rimozione del
torto.
Quattro sono i domini con cui questo concetto condivide certi aspetti
formali:
il tempo (la prescrizione), la gratuita' (la grazia), la
giustizia
(l'amnistia),
la comprensione (circostanze attenuanti). Dapprima l'oblio, il tempo
che
allontana il momento del verificarsi del dolore, rappresenta un
elemento di sollievo
agli occhi della vittima, in grado di accompagnarla alla condizione che
le
permettera' di perdonare. In quanto offerta poi, il perdono
prevede un
dare e un
ricevere, due aspetti che lo inseriscono nel dibattito sul dono, in
particolare
il dilemma della sua gratuita' e dell'autorità che
acquista colui che
dona.
Quando invece il perdono sostituisce una strada punitiva
impercorribile,
immediatamente si svela la dimensione del conflitto che lo oppone
all'esercizio
della giustizia. Infine, si pone il problema della comprensione delle
ragioni
del colpevole che, se da una parte rappresenta un momento
indispensabile verso
il superamento del rancore, dall'altra rischia di modificare lo status
della
colpa fino al punto di affrancarla da un reale bisogno di perdono. Se
perdonare e' dunque, secondo gli argomenti descritti, un atto
paradossale, si
tratta pero'
anche di un paradosso utile, familiare alla quotidianita' che,
per
essere ben
compreso, necessita di essere studiato per quello che inevitabilmente
e': una
parola detta e una parola che fa quello che dice. Tenendo presente che
non si
puo' perdonare tacitamente e che il "fare" perdono non e' altro che un
"dire", si
puo' superare ogni paradosso continuando a studiare il perdono nella
sua
qualita'
di atto linguistico performativo le cui condizioni di enunciazione riguardano la persona che perdona, colui a cui
essa
perdona, il linguaggio e le circostanze autorizzate per perdonare.
Nella lingua latina i termini usati per esprimere una
circostanza di perdono sono numerosi, i piu' usuali pero', e i meno
polisemici,
possono essere considerati il verbo ignoscere e il sostantivo venia,
mentre clementia, indulgentia, gratia, ed alcuni
termini ed espressioni connesse ai verbi donare, concedere,
parcere e remittere rientrano nell'area semantica del
perdono solo
in determinate costruzioni. Per comprendere dunque
in che modo i romani concepissero il perdonare e' indispensabile
verificare l'utilizzo che di questo lessico e' stato
fatto
nella letteratura latina, dapprima differenziando il tipo di contesto
in cui e'
applicato - che sia privato, familiare o extra familiare, che agisca in
un
contesto pubblico, in un'aula di tribunale o in una corte imperiale o
militare
per esempio; che si inscriva in un rapporto cultuale tra gli uomini e
la divinita'
oppure, che risponda semplicemente ad un uso retorico o che sia
l'oggetto di
una riflessione - quindi verificando che tipo di dinamica e quali
problematiche
vengano a realizzarsi nella pratica latina del perdonare.
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