Università di Siena
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Mythologica Einaudi

«Mythologica esplora le innumerevoli metamorfosi a cui i miti classici, dall'antichità fino ai giorni nostri, sono andati soggetti fra racconto, immagini e interpretazione. Il mito infatti non è mai esaurito - c'è sempre un'altra versione da leggere, il mito non è mai concluso - c'è sempre un'altra versione da scrivere».

AriannaBettini M. - Romani S., Il mito di Arianna, Torino Einaudi 2015 

Il mito di Arianna è cosí celebre da esserci quasi familiare. La sua silhouette attraversa le rovine di gigantismi mitologici: figure che hanno colonizzato in modo ipertrofico l'immaginario della cultura occidentale; lei minuta fra le statue ciclopiche del padre Minosse, del fratello Minotauro e della prigione, il labirinto, in cui era rinchiuso. Tuttavia, se anche si muove leggera nel cono di luce di questo mondo famoso, Arianna è intessuta nell'ombra e quando si afferra la sua veste è pronta a sfuggire, negandosi all'interpretazione. È stata, nella sua madrepatria, una dea del labirinto e ha visto i coetanei muoversi in cerchio, seguendo una misteriosa coreografia inventata da Dedalo. Ha amato follemente Teseo, senza esserne in verità mai ricambiata. Ha scelto di tradire la famiglia, di lasciare dietro di sé la patria, per salire su una nave ateniese sperando di diventare, un giorno, regina di Atene. Si è spenta, invece, sulla riva del mare di Nasso, dopo l'abbandono. È morta di parto a Cipro. Si è mutata in statua sulla piana di Argo, per aver incrociato lo sguardo pietrificante della gorgone Medusa. Il dio Dioniso l'ha scelta, infine, come compagna e le ha regalato una nuova vita fra le stelle. Molti destini diversi, a volte persino dissonanti fra loro, per un personaggio fra i piú noti della mitologia antica. Questo libro vuole restituire al lettore tutte le anime di Arianna e infonderle un po' di nuova vita, sciogliendo i nodi del gomitolo di filo che Teseo si è portato al centro del labirinto.










Enea

Bettini M. - Lentano M., Il mito di Enea, Torino Einaudi 2013 

«Nonostante la fortuna strepitosa che ha fatto dell'Eneide uno dei testi fondativi della cultura occidentale, quella di Virgilio non è che l'ennesima variante di un mito enormemente complesso, che aveva alle spalle già un millennio di vita e che nel corso dei secoli aveva continuato ad arricchirsi e modificarsi, in una stratificazione di versioni che hanno servito di volta in volta strategie politiche, interessi di città desiderose di accreditarsi un fondatore prestigioso, bisogni identitari variamente declinati, scelte letterarie. Una sola cosa era stata chiara sin dall'inizio: da quel crogiolo di storie che è la guerra di Troia, da quel vero e proprio big bang dell'universo mitologico greco-romano, Enea era destinato a salvarsi. A differenza di eroi come Achille o Ettore, il suo destino non era circoscritto al presente, sia pure al presente luminoso della prodezza guerriera e della bella morte sul campo di battaglia, ma abitava per vocazione la dimensione del futuro. Ciò che questo libro cercherà di fare è di raccontare una simile, lunghissima durata: nella consapevolezza che se non sarà mai possibile esaurire la complessità di un mito antico, e di un mito come quello di Enea, avremo in ogni caso aggiunto ad esso una ennesima variante - che è poi il modo in cui le storie degli antichi continuano a vivere e a significare».








Circe

Bettini M. - Franco C., Il mito di Circe, Torino Einaudi 2010 

Figlia del Sole e di una ninfa, ambiguamente oscillante fra dea e maga, femme fatale e dama soccorrevole, amante vendicativa e divinità benigna, prostituta e madre di eroi, signora della natura selvaggia e maestra di raffinati lussi, da secoli la figura di Circe si modula sulla doppia natura dei pharmaka cui è affidato il suo potere: pozioni potenti, in grado di produrre lugubri degradazioni, ma anche luminose sublimazioni, capaci di rendere l'individuo migliore o addirittura di trasformarlo in dio.



C'è chi racconta che li trasformasse tutti in maiali prima ancora di chiedere come si chiamassero, chi invece sostiene che prima se li portasse a letto e poi ne mutasse uno in leone, un altro in toro o in ariete o in gallo. Altri dicono infine che non li tramutava affatto, ma semplicemente sapeva rivelare chi già erano, facendone affiorare la natura nascosta di porci o di asini.
Figlia del Sole e di una ninfa, ambiguamente oscillante fra dea e maga, femme fatale e dama soccorrevole, amante vendicativa e divinità benigna, prostituta e madre di eroi, signora della natura selvaggia e maestra di raffinati lussi, da secoli la figura di Circe si modula sulla doppia natura dei pharmaka cui è affidato il suo potere: pozioni potenti, in grado di produrre lugubri degradazioni, ma anche luminose sublimazioni, capaci di rendere l'individuo migliore o addirittura di trasformarlo in dio.
La figura di Circe come perfida seduttrice continuerà a essere composta e ricomposta per secoli fino alle immagini fin de siècle di donna «belva», pronta a invischiare i maschi nella sua sessualità onnivora e ferina. Il lato positivo del potere di Circe sarà invece riscoperto dalle artiste del Novecento, per le quali Circe diventa figura della donna moderna, libera e consapevole, capace di contestare gli stereotipi della cultura eroica patriarcale («Non sei stanco di uccidere? - chiede a Odisseo la Circe di Atwood. - Non sei stanco di dire Avanti?»), ma anche simbolo dei rischi di isolamento e delle difficoltà di comunicazione con l'altro sesso insiti nella nuova condizione femminile.


Il mito delle Sirene

Bettini M. - Spina L., Il mito delle Sirene, Torino Einaudi 2007 

Donne pesce o donne uccello? Esseri alati con volto umano e corpo di volatile o donne con squame e code di pesce?
La mitologia antica e la pittura hanno tramandato immagini ricche e complesse di Sirene: esseri già in sé doppi, ibridi, capaci di far convivere nella popria identità somatica sembianze umane e sembianze animali, esseri non estranei a nessuno dei grandi spazi del mondo, acqua, terra, cielo. Esseri, tuttosommato, facili da incontrare. Per alcuni secoli, infatti, forse sull'onda dei viaggi e delle scoperte di nuovi mondi, le apparizioni di Sirene furono all'ordine del giorno. Le vide Alessandro il Grande dopo la vittoria su Dario. Le videro Teodoro Gaza e Giorgio Trapezunzio. Le vide Cristoforo Colombo di ritorno dalle Americhe (e sembra che già prima le avesse incontrate in Guinea). E ognuno di loro, a proprio modo, le raccontò.
Molti sono gli incontri e molte le Sirene che ancora si possono conoscere e sognare nelle pagine di questo libro. Molti sono i ricordi del loro canto che ammalia e spaventa chi lo ode; il piú noto dei quali è nel racconto di Ulisse che, per ascoltare le Sirene, si fece incatenare all'albero della nave. E non fu il solo. Ma se in realtà le Sirene non avessero mai cantato? se invece nessun suono fosse mai uscito dalle loro affascinanti bocche socchiuse? e se fosse stato piuttosto il silenzio a incantare e a sedurre? Emblema di ciò che resta inaccessibile e insieme attira senza fine, la Sirena-uccello, pesce, ape, demone, musica celeste, non ha ancora finito di sedurre (e spaventare) gli umani.










Il mito di Edipo

Bettini M. - Guidorizzi G., Il mito di Edipo, Torino Einaudi 2004



«Mythologica esplora le innumerevoli metamorfosi a cui i miti classici, dall'antichità fino ai giorni nostri, sono andati soggetti fra racconto, immagini e interpretazione. Il mito infatti non è mai esaurito - c'è sempre un'altra versione da leggere, il mito non è mai concluso - c'è sempre un'altra versione da scrivere». Tutto accadde su una strada. Su una strada un bambino fu abbandonato a morire; su una strada un giovane uccise un uomo più anziano; su una strada l'omicida fu sfidato da un mostro con corpo di leone e testa di donna a risolvere un enigma: l'uomo vinse e divenne re. Su una strada, anzi su molte strade, lo stesso uomo trascinò i suoi passi di vecchio cieco appoggiato a un bastone, con la sola compagnia della figlia. La strada, che tante volte ricompare nel mito di Edipo, non è solo una metafora della vita, ma anche il simbolo del tempo che procede e dell'identità che si trasforma pur rimanendo una. Un uomo è se stesso eppure è sempre diverso. Alla domanda «chi è Edipo?» non si può, dunque, che rispondere in molti modi, perché - in realtà - non esiste un solo Edipo, ne esistono tanti. Molteplici e singolari sono le identità che il mito ha assunto nei secoli: dalla maschera arcaica e tribale a quella sventurata e sofferente di Sofocle e Seneca; dal-l'Edipo medievale alla tragedia moderna dei drammi di Tesauro o Voltaire; dagli enigmi e dagli oracoli ai sogni e ai lapsus. Ma è nel Novecento che prende forma il «nuovo» Edipo: un eroe cioè non più in lotta contro il destino, ma contro una parte di se stesso, una parte ignota che lo attrae irresistibilmente. Edipo si trasforma, infatti, in un personaggio difficile e tormentato: un uomo pienamente moderno, dalla personalità oscura, un intreccio di forze implacabili davanti alle quali la volontà consapevole appare disarmata. Fondando la psicanalisi, Freud scelse poi proprio l'Edi-po del dramma greco come simbolo di un altro tipo di dramma; con lui, lo sventurato figlio di Laio e Giocasta diventa, definitivamente, mito fondante di una diversa visione dell'uomo e di un suo famoso «complesso»: ora la colpa è necessità e il Fato si trasforma nell'Inconscio.



Il mito di Narciso

Bettini M. - Pellizer E., Il mito di Narciso, Torino Einaudi 2003 

Narciso che si specchia nella fonte e si innamora per sempre della sua immagine riflessa. La ninfa Eco che vede il giovane mentre si specchia e si innamora in eterno di lui. L'incontro non è dato: a generarsi è - fatalmente - un complicato gioco di specchi. Tutt'intorno un turbinio di lacrime e pugnali, da cui si generano fiori e fiumi. Dalle lacrime versate dagli infelici amanti scaturiscono, infatti, sorgenti, polle d'acqua e fontane; dal loro sangue nascono, invece, fiori bianchi candidi o rosso fuoco. Ecco il mito di Narciso che conosciamo, quello che si è diffuso in tutta la cultura europea dando vita a una ricca serie di rifrazioni e varianti. Ma questo è soprattutto il racconto ovidiano. Non tutti sanno infatti che, prima di Ovidio e nel mondo greco, la storia del giovane Narciso non esisteva se non in una forma piú banale: senza Eco, sicuramente, e soltanto in un contesto di racconti erotici a sfondo omosessuale. È con Ovidio, e con la comparsa al fianco di Narciso della sfortunata Eco, che il mito esplode in tutta la sua fortuna e che, pur da un'estrema economia di contenuti narrativi, riesce tuttavia a generare una ricca messe di varianti che appare inesauribile.
Dalle Metamorfosi di Ovidio, alle Silvae di Stazio, a Filostrato, a Pausania, a Plotino. Dalle trasformazioni medievali che iniziano a vedere un'immagine di donna nel riflesso della fonte, a Boccaccio, a Calderón de la Barca, alle càrole boscherecce, ai girotondi amorosi del Pastor fido, ad artisti e pittori, a Freud naturalmente. Nei secoli e nei millenni, in forma diversa e con voci diverse, si è tentato di rispondere alla stessa domanda: «Che cosa ha veramente visto, o che cosa cercava di vedere Narciso nello specchio della sua chiara fonte?» Tutti conoscono il mito di Narciso che si riflette nella fonte. O almeno pensano di conoscerlo. Eppure con il mito vale sempre la pena di ricominciare.








Il mito di Elena


Bettini M. - Brillante C., Il mito di Elena, Torino Einaudi 2002

Figlia del padre di tutti gli dèi, creatura di bellezza straordinaria, Elena è uno dei personaggi piú noti della letteratura classica e, secolo dopo secolo, ha ispirato numerosi racconti e leggende. L'Iliade e l'Odissea, naturalmente, ma anche due celebri episodi dell'Eneide, nonché tragedie di Eschilo e Euripide, un dramma satiresco di Sofocle, due palinodie di Stesicoro. La sua bellezza è cantata da Saffo e da Alceo, ricordata da Erodoto nelle Storie, e da Esiodo nel Catalogo delle donne. La sua leggenda gode di notevole fortuna nell'Oriente bizantino e, come modello di donna seduttrice, attraversa il medioevo per rivivere in epoca piú recente nel Faust di Goethe e nelle opere e musiche di Gluck, Berlioz, Saint-Saëns. A inizio Novecento un'Elena «tacita e serena, come la luna, sopra il fuoco e il sangue» è ritratta nei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli, mentre una sua immagine, influenzata dalla psicanalisi, è celebrata nell'opera di Hofmannsthal musicata da Strauss. Secolo dopo secolo, molte voci ne raccontano la storia e numerosi sono gli scultori e i pittori che la ritraggono e che sempre piú abbandonano l'illustrazione idealizzante del mito per concentrarsi sul suo volto e sul suo corpo, sulla sua femminilità conturbante e sull'invincibile energia seduttiva. Poi arriva il cinema. Il volto di Elena e il racconto della sua storia mutano di epoca in epoca e si rifrangono di versione in versione: è Elena una sposa infedele causa della guerra di Troia, o è la donna di Sparta legata alle feste di primavera e alla sposa di maggio? È una dea o un demone? È meretrice o donna che seduce? È una o sono due? Tutti conoscono il mito di Elena la bella. O almeno pensano di conoscerlo. Eppure con il mito vale sempre la pena di ricominciare.