I poeti credevano nelle loro Muse?
GIORNATA DI STUDIO
2 aprile 2003
L'invocazione alla Musa (alle Muse) costituisce l'apertura
obbligata ed esplicita praticata generalmente dai poeti greci e romani,
a cominciare dall'epica omerica. La soggettività individuale del poeta
viene, per così dire, preliminarmente messa in attesa. Solo dopo
l'investitura ufficiale, o almeno una promessa di collaborazione, il
poeta porta in primo piano la propria voce. Lo schermo protettivo di
cui la voce poetica si fa quasi tramite di secondo livello è l'esempio
di una operazione immaginata come eterodiretta, alla luce della quale
istanze moderne come quelle di ispirazione e creatività necessitano di
serrate verifiche di forte spessore antropologico. Il convegno si
propone di analizzare tali pratiche anche in culture antiche diverse da
quelle classiche, nonché di approfondire le aporie delle stesse
concezioni poetiche prima delineate. Infine, attraverso la presenza di
esperienze dirette di poeti contemporanei, si prenderanno in esame i
meccanismi e le (auto) rappresentazioni del fare poetico.
Programma
- MATTINA
Paolo Xella: Prima delle Muse. Maestri, scribi e cantori nel vicino Oriente preclassico
Carlo Brillante: Le Muse tra verità, menzogna e finzione
Simone Beta: Il sorriso della Musa
- POMERIGGIO
Pietro Clemente - Maurizio Agamennone: Il dono e le arti: note demo-antropologiche
Talia Pecker Berio: Musa/Musica: metamorfosi di un sinonimo
Maurizio Bettini: Tacimi o diva: la Musa del silenzio nella cultura romana
Alessandro Fo: Le Muse: crederci oggi?
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