POESIA FRANCESE

a cura di Michela Landi

 

 

PHILIPPE JACCOTTET, Nuages, con disegni di A. Hollan, Montpellier, Fata Morgana, 2002, pp. 31.

 

Meditazione poetico-filosofica vicina alla tradizione idealistica, questa plaquette di Jaccottet riconferma la sua ispirazione fortemente intimistica, legata alla natura come ‘pura entità’ e non come principio di imitazione; è questa, forse, la principale ragione del suo vissuto come «écart» di natura (la Svizzera) rispetto al peso culturale della sua lingua. Il pretesto della meditazione è costituito da una lettura di Thoreau, scrittore statunitense del XIX secolo, rappresentante di una mistica naturale che influenzerà il pensiero di Gandhi. Appare infatti sensibile, benché in un autore occidentale (occidentalissimo, diremmo oggi, in piena polemica ‘culturale’ tra due emisferi) l’ispirazione orientale di questi pensieri che Jaccottet accoglie a fondamenti della sua propriocezione metafisica, nell’interrogarsi sulle modalità del proprio Essere-al-mondo. La ricerca iniziale, nel pensiero di Thoreau che Jaccottet accoglie con una minima clausola (quel «presque» che è forse la chiave di volta di tutto il testo), è quella di un endon, spazio centrale di sé ancora incerto ed oscillante tra le due estremità certe e sensibili, la vita e la morte: «Vie et mort, ce que nous exigeons, c’est la réalité. Si nous sommes réellement mourants, écoutons le râle de notre gorge et sentons le froid aux extrémités; si nous sommes en vie, vaquons à notre affaire». Un topos tra i più praticati, quello del tempo come fiume, si ripropone qui in una chiave inedita: la consunzione del fiume stesso mediante l’azione umana del bere, sperimenta la finitezza di quella risorsa. Allo stesso atto, consapevole, di consumare la vita, l’uomo ravvisa la necessità di «boire plus profond»; ovvero, in un itinerarium rovesciato e solo apparentemente paradossale, quello di riconoscere nella testa, acumen mentis, un «organe pour creuser». L’operazione metaforica dello scavo nel fiume del tempo equivale, in qualche modo, ad una domesticazione della morte, il cui approssimarsi altro non fa che dare più senso all’Essere-nel-mondo. Tutta proiettata verso l’assolutezza semantica della parola «dernier», la quête di Jaccottet procede verso il riconoscimento di una maggiore forza delle cose, nel loro impatto con l’esistenza umana; la vicinanza ‘cronologica’ della morte trasposta ad un fenomeno prospettico attribuisce alla natura una sovra determinazione fenomenologica che annulla la distanza tra il soggetto e l’oggetto, fino a far percepire al soggetto stesso il calore metafisico del contatto. Avendo misticamente penetrato l’endon paradossale, ovvero il fine stesso di una ricerca filosofica tesa alla domesticazione della morte, Jaccottet riconosce che l’individuo ha senso nella sua essenziale ‘transizione’ e transitorietà testimoniale. Ed ecco allora, nella seconda parte, un’altrettanto paradossale ed esemplare parousía: quella delle nuvole. Elemento tematico principale del testo, esse fanno la loro apparizione in una giornata caldissima dove, come il soggetto stesso, sperimentano la loro dialettica di presenza-assenza, iridescente e irradiante. Sono, com’egli scrive, cirri, ovvero nubi del vento. Attraverso queste forme fugaci («majestés» contaminate dalla umana dissolvenza) egli coglie, sub specie naturae, l’effetto di un pneumaignorato, causa prima di ogni Essereal-mondo; attraverso lo «spectacle du ciel» egli osserva il miracolo del suo esistere senza il peso che lo schiaccia a terra: il destino delle nubi è quello di una fertilità «sans germes de mort». La nube, invenzione del vento, com’egli scrive, e sua stessa terrena manifestazione sposata all’umidore terrestre, provoca nel poeta ricettivo lo slancio entusiastico di una dipartita. Esse infatti si fanno, come l’uomo stesso di cui illustrano la modalità di Essere al mondo, mediatrici del rapporto con le cose mediante l’idea del soffio sustanziato che nella sua medietà esita tra la pioggia (la vita) e l’inesistenza. Ed ecco che il loro ‘approssimarsi’ (l’effetto prospettico del loro ‘schiacciare’ l’uomo alla terra, che ben colse Baudelaire), analogo a quello della morte, è un assalto affatto temibile, né aggressivo: la forma, il simbolo, incessantemente, si espande per tramutarsi nel non-essere. Attestazione di realtà e di esistenza «inépuisable» nella sua essenza fantasmatica, la nube scambia con l’uomo, i liquori sacrificali; pioggia, come lacrime e sangue, assicurano infine una viva continuità, certa in uno spazio mobile e fecondo qual è, nel suo limite accolto, la modalità umana dell’Esserci.

 

(Michela Landi)

 

 

FERDINANDO CAMON, Le silence des campagnes. Modestes constats en vers. Traduit de l’italien et postfacé par Patrice Dyerval Angelini, Paris, Gallimard, 2003, pp. 126,  12,50.

 

Nel 1998 esce, dopo decenni di silenzio poetico di Camon, Dal silenzio delle campagne che reca, come sottotitolo didascalico: Tori, mucche diavoli, contadini, drogati, mercanti di donne e serialkiller; scene e raccontini in versi (Milano, Garzanti), dove si torna ad evocare la campagna quale spazio ‘rituale’ e durativo di una memoria astorica. In rapporto ad una cultura cittadina che si avvia alla secolarizzazione, la campagna si configura infatti come uno spazio ‘svuotato’; come «enclave» del senso oramai improduttivo, inutile e marginale. Quello stesso mondo oramai misconosciuto che appare insieme temibile, mostruoso e caricaturale si traduce, in un’ottica civica nel quale viene ad irrompere, in una ‘animalità’ ironicamente trattata nella sua accezione ‘moralistica’ e deteriore (drogati, mercanti di donne e serial-killer). Il realismo scabro e drammatico dei contenuti, evocati nel loro crudo pathos espressionistico, è smorzato dal tono volutamente ‘minore’, elegiaco e insieme sarcastico, con cui il poeta ha inteso governare (ironicamente; è questa la sua poetica, da intendersi come capacità di metabolizzare il vissuto attraverso una ricerca di forma del significato) la forza dirompente della sacra animalità. Questa investe infatti, ineluttabilmente, ogni creatura viva ed è ancor più visibile, per contrasto, quando essa intende venir aggiogata dalle regole della civitas e della sua morale laica. La traduzione stilisticamente accuratissima ha innanzitutto, grazie alla rara conoscenza formale e diastratica dell’italiano di P. D. Angelini, il merito di eludere la mediazione dei due sistemi linguistici di riferimento per far scivolare il testo, saldamente impiantato in una precisa realtà storico-sociale, all’interno di una omologa caratterizzazione dialettale. Senza rompere la connivenza con il lettore dovuta alla medialità straniante della lingua letteraria, l’opera torna subito ad insediarsi nella sua peculiare contestualità. Risolvendo infatti in modo mirabile il problema del trilinguismo che si presenta nella traduzione della poesia dialettale, Angelini fa corrispondere al veneto delle campagne una realtà «patoisante» francese che le è culturalmente omologa: una varietà dialettale oitanica, situata tra la Normandia e le Ardennes dove si riproducono, almeno sul piano stilistico, i tratti generali pertinenti di un popolo nordico e «montagnard». Angelini ha inoltre colto (come specifica nella postfazione) la forte caratterizzazione ritmica di questi testi – tributari della tradizione/ musicale popolare che la poesia dialettale stessa ha assimilato – facendone una delle dominanti del testo. Le clausole ritmiche, dove si concentra sensibilmente tutta la forza enunciativa di questa poesia (in esse, infatti, pare sciogliersi ‘ludicamente’ il pathos dei contenuti), sono particolarmente curate e presentano esiti di elevata resa traduttiva. Esse così testimoniano, senza la «déperdition» connessa con ogni traduzione- interpretazione (che è e resta comunque un atto dissacratorio del rituale poetico di per sé irriproducibile), la necessità di dar forma viva ad una significazione tutta giocata nella sua interna ridondanza semica e tematica. Tale è infatti l’espressione – per definizione ‘resistente’ ad ogni pratica di ‘riduzione’ culturale – di una voce collettiva che, attestandosi come realtà imperscrutabile e fenomeno di significazione non decodificabile all’interno del sistema linguistico-strumentale della civitas, fa oramai della campagna – come scrive felicemente Angelini nella sua postfazione – «un silence au tumulte pareil».

 

(Michela Landi)

 

 

Segnalazioni

 

a) Poesia francese

 

Per la collana «Poésie» di Gallimard si segnalano, a cavallo tra il 2002 e il 2003, molte edizioni e riedizioni di rilievo. Ricordiamo, per priorità cronologica, la bella edizione di poesie scelte di Théophile  de Viau, a cura di J.-P. Chauveau (Après m’avoir tant fait mourir, pp. 300, € 6,40), in concomitanza con l’uscita del saggio di F. Rigolot, Poésie et Renaissance (Seuil). La Légende des siècles di Hugo è riproposta a cura di A. Laster, con prefazione di C. Roy mentre, in ambito novecentesco, Le Fou d’Elsa di Aragon, uscito per la prima volta nel 1963 per la famosa «Collection Blanche» di Gallimard, è ripresentato nella collana in questione (ottobre 2002). Il notissimo Marteau sans maître di R. Char (1934) è offerto in una nuova edizione di M.-C. Char, con una postfazione di Y. Battistini. Di Catherine Pozzi Claire Paulhan cura, insieme a L. Joseph, l’opera poetica, raccolta sotto il titolo (ispirato al primo componimento) Très haut amour et autres textes, cui si aggiungono traduzioni e pagine del suo Journal 1913-14 (novembre 2002). Dopo Plupart du temps e Main d’oeuvre, la stessa collana propone, di P. Reverdy, Sable mouvant (prima edizione 1966, illustrata da Picasso), La Liberté des mers (1959, illustrata da Braque) e Ode à Picasso, seguiti da Cette émotion appelée poésie, uno dei testi più illuminanti che siano mai stati scritti sulla poetica novecentesca (gennaio 2003). Di particolare rilievo una nuova edizione, a cura di C. Boulbès e con prefazione di B. Noël, delle poesie, poco note al grande pubblico, di uno dei maggiori esponenti del surrealismo pittorico, Picabia (ed. Mémoire du livre, pp. 394, € 29,00). Una nuova edizione di Pour en finir avec le jugement dernier di Artaud (opera uscita nel 1948 dopo una censura radiofonica e già pubblicata da Gallimard nel 1974) è riproposta a cura di E. Grossman (maggio 2003) mentre Eros énergumène di D. Roche, già uscito da Seuil nel 1968, è riedito per la collana poetica di Gallimard. In ambito contemporaneo, l’ultimissima produzione di Guillevic è finalmente uscita dalla stessa Gallimard (Quotidiennes, pp. 170, € 13,50) mentre J. Roubaud pubblica, dopo Quelque chose  oir (Gallimard, pp. 158, € 3,96) la quinta parte della sua singolare autobiografia poetica, che segue Poésie del 2000 (La Bibliothèque de Warburg. Version mixte, Seuil, pp. 314,  19,50). In concomitanza con un numero speciale di «Europe» dedicato a G. Roud Jaccottet presenta, del poeta svizzero suo conterraneo scomparso nel 1976, una silloge dal titolo Air de la solitude et autres textes. Oltre alla traduzione e presentazione, accanto a C. Atlan, dei testi che compongono la silloge: Haiku, anthologie du poème court japonais (pp. 240, € 5,45) Zeno Bianu propone, sempre per la stessa collana di Gallimard, un’antologia della produzione dei «Poètes du Grand Jeu» seguaci di Rimbaud (Meyrat, Vailland, Daumal, Gilbert-Lecomte; Les poètes du Grand Jeu, pp. 410, € 8,60) mentre si ricorderà, dello stesso Bianu, la recentissima uscita (marzo 2003) di una raccolta poetica dal titolo: Le Battement du monde, pubblicata invece presso Lettres Vives (pp. 46, € 12,00). G.-E. Clancier presenta due raccolte, una da Gallimard (Contre- Chants, pp. 184, € 16,76) e un’altra per le Ed. du Rocher (Le passant de Vérone, pp. 176,  13,56), mentre J.-C. Pinson propone, presso Champ Vallon, Fado (pp. 140, € 12,20). Segnaliano, altresì, due raccolte di C. Esteban, una da Gallimard (Morceaux de ciel, presque rien, pp. 192, € 11,43) ed una da Farrago (Etranger devant la porte, 2 voll., pp. 96 ciascuno, € 14,63), nonché due sillogi di A. Dreyfus per Flammarion (Quelques branches vivantes e Les compagnies silencieuses, pp. 86,  13,00 e pp. 120, € 14,50), cui si aggiunge quella di H. Sanguinetti (D’ici, ce berceau, pp. 96,13,50). Il nizzardo X. Bordes presenta, per Gallimard, A jamais, la lumière (pp. 290, € 19,95), mentre di F. Venaille presso l’editore Obsidiane pubblica Tragique (pp. 168, € 16,76). Vivacissimo il Diogène di R. Sabatier (Albin Michel, pp. 498, € 21,34) mentre un nuovo Spleen de Paris è quello di M. Deguy, che medita in prosa sulla poesia ‘metropolitana’ (Galiléee, pp. 56, € 12,96). La collana «Poésie» pubblica, del drammaturgo V. Novarina, Le Drame de la vie, con una prefazione di Ph. Sollers, mentre Ph. Jaccottet è riproposto con A travers un verger, seguito da Cahier de verdure e Après beaucoup d’années (opere già pubblicate nella «Collection Blanche»). È attesa, nel giugno 2003, l’uscita della nuova edizione in «Poésie» delle Planches Courbes di Bonnefoy, pubblicata nel 2002 (Mercure de France, pp. 136,12,50) accanto a Le coeurespace, testo riproposto in due versioni scritte rispettivamente nel 1945 e nel 1961 (Farrago-Léo Scheer, pp. 60,13,72). L’editore Le Corridor bleu rende omaggio, con la prima di una serie di uscite, a L.-F- Delisse, autore vissuto in gran parte nel Niger e vicino a R. Char, che torna a pubblicare una raccolta sotto l’egida di uno dei più noti calembours (Aile, elle, pp. 200,14,00). G. Titus-Carmel, cui è dedicata nel giugno 2003 una mostra a Poitiers, pubblica due raccolte: Ici rien n’est présent (Champ Vallon, pp. 154, € 14,00) e Epars (Le Temps qu’il fait, pp. 308,25,00), mentre B. Vargaftig esce di nuovo con Comme respirer (Obsidiane, pp. 76,13,00). Jean Grosjean torna con Les parvis (Gallimard, pp. 110,11,50) e Lydie Dattas con Le livre des anges (Gallimard, pp. 162, € 14,50), mentre J. Bastaire si ripropone con Noces Vives (Arfuyen, pp. 72,11,50). Una nuova raccolta, con testi in gran parte inediti (alcuni già pubblicati in rivista) scritti tra il 1995 e il 2002, è quella di P. D. Angelini, il cui Pétri de sons (dedicata alla musica) fa eco alla sua precedente Pétri de temps (Saint Germain-des- rés, 2002). Di R.Graziani, poeta trentenne, Fata Morgana pubblica (marzo 2003) la seconda raccolta dopo Amor Fati (Mues indigènes, pp. 52, € 10,00), mentre l’editore limusino Rougerie propone, di J.-F. Mathé, Le Ciel passant (pp. 98,   14,00) raccolta che ha conseguito, nel 2002, il premio Kowalski. Con il Traité du vertige, La Différence propone una quarta raccolta (riunita alle tre precedenti già pubblicate) di Y. Mabin Chennevière (pp. 462, € 20,00) e, con Rituel d’emportement, un’antologia poetica di M.-C. Bancquart, comprendente testi scritti tra il 1969 e il 2001 (pp. 412,28,50) mentre l’altro grande editore parigino di poesia, Obsidiane, presenta, di J.-M. Perret, Grande Liberté de l’air au-dessus du fleuve (pp. 60, € 11,00). Infinis Brefs avec leurs ombres è la quinta raccolta di Ph. Delaveau, pubblicata da Gallimard (pp. 186, € 18,00). Di Andrée Chédid escono, con l’occasione dell’ultimo «Printemps des Poètes» (marzo 2003), i Rythmes da Gallimard (pp. 124, € 12,00) e, contemporaneamente, nuove raccolte di Ch. Prigent (Presque tout, POL, pp. 432, € 23,00), M. Messagier (Géologie historique et autres poèmes, Christian Bourgois, pp. 266, € 19,00), P. de Roux (Allers et retours, Le Temps qu’il fait, pp. 206, € 17,00), V. Rouzeau (Va où, Le temps qu’il fait, pp. 124,  14,00). La vague sonnettiste annovera un nuovo rappresentante nella poesia scatologica di C. Le Petit, atta a smascherare ludicamente le ipocrisie della civitas (Sonnets luxurieux e La Chronique scandaleuse, Urdla, pp. 98, € 18,00). Presso l’editore Champ Vallon J. Stéfan rievoca ‘poeticamente’ (e ironicamente) le Oraisons funèbres di Bossuet, associando varie forme di scrittura: frammenti, novelle brevi, testi poetici (Oraisons funestes, pp. 110,12,00). Per la raffinata collezione «Encres Blanches» delle edizioni Encres Vives diretta da M. Cosem si ricorderanno un testo di Ch. Danjou (Eloge d’une absence verte, n. 76, 6,  10,00) ed uno di J.-C. Villain (Marchand d’épices, n. 59, € 6,10), al quale è dedicato anche, nel 2003, un numero speciale (Spécial Jean-Claude Villain, «Encres vives» n. 294, février 2003, 6, € 10,00). In ambito critico, è un ulteriore tentativo di orientamento all’interno del panorama della poesia contemporanea quello, diretto da G. Daniel, che ha per titolo Poétiques & Poésies contemporaines (Le Temps qu’il fait, pp. 380, € 29,00), dove si torna a distinguere tradizione («néolyrisme») e avanguardia testualista («littéralisme»), mentre le Presses de l’Université de Paris-Sorbonne presentano, in coedizione con Schena, gli atti di un convegno tenutosi a Bari nel gennaio 2002 a cura di G. Dotoli (Où va la poésie française au début du IIIe millénaire?, pp. 178, 10,00). J.-C. Pinson, filosofo e poeta, propone una riflessione sulla poesia che fa seguito al suo precedente Habiter en poète (Champ Vallon) con il saggio: Sentimentale et naïve (Champ Vallon, pp. 278, € 23,50) dove tratta, in particolare, dell’opera di J. Stefan, D. Fourcade e P. Michon cercando di tracciare, com’egli scrive, un’etica della poesia, ovvero una «poéthique». Sempre in occasione del «Printemps des poètes» 2003 l’editore Seghers rilancia, in una nuova versione accanto alla riedizione dei vecchi esemplari, la storica collana «Poètes d’aujourd’hui» («Poésie d’abord») con il sostegno del Centre National de Documentation Pédagogique (CNDP), che debutta con un saggio di C. Layet su du Bouchet (pp. 252,   18,30), seguito da uno di B. Marcadé su Lautréamont. Lo stesso CNDP promuove anche, in concomitanza con la «Semaine de la Francophonie » (marzo 2003), tre antologie poetiche: Poèmes à dire la francophonie, presentate da N. Brossard (CNDP/Le Castor astral, 9,00), Un certain accent, Anthologie de poésie contemporaine, a cura di B. Noël (CNDP/L’Atelier des brisants, € 8,00) e Poèmes à dire, Une anthologie de poésie contemporaine francophone, a cura di Z. Bianu (Gallimard/CNDP, € 7,95). Una interessante raccolta di saggi (su Reverdy, Apollinaire, Breton e Desnos) è quello di E.-A. Hubert (Circonstances de la poésie, Klincksieck, pp. 436,  27, € 44,00), mentre Meschonnic, contemporaneamente alla traduzione dei Salmi (Gloires, Desclée de Brouwer, 2002), propone una Célébration de la poésie (Verdier, pp. 266,  19,10). Oltre ad una raccolta (Chutes de pluie fine, Mercure de France, pp. 192,15,50), J.-M. Maulpoix propone, con Le poète perplexe (José Corti, pp. 376, € 18,00), una nuova riflessione sul lirismo in poesia che fa seguito a La Voix d’Orphée (Corti, 1989). Si ricorderà, per concludere, la recentissima uscita (maggio 2003) di un colossale saggio sulla poesia di D. de Villepin, attuale Ministro degli Affari Esteri francese, dal titolo Eloge des voleurs de feu, nel quale egli racchiude anni di ‘segrete’ meditazioni sulla poesia francese, da Villon a Bonnefoy (Gallimard, pp. 824, € 25,50), mentre si ricorderà la lodevole iniziativa dell’ADPF («Association pour la diffusion de la pensée française» dello stesso Ministero), in direzione della diffusione della poesia contemporanea, con opuscoli annuali (Des poètes français contemporains), uno dei quali (2001) è a cura di M. Deguy, R. Davrey e H. Kaddour (versioni inglese e spagnolo del testo; € 12,20). Corredati di bibliografie e indirizzi degli editori, questi opuscoli costituiscono un validissimo strumento di consultazione.

 

b) Traduzioni

 

Tradotta dall’occitanico da F. Voilley, con introduzione di B. Manciet esce, grazie all’iniziativa dell’Associazione «Les Amis de Michel Miniussi», una raccolta inedita del raffinatissimo poeta scomparso in giovane età (Montpeyroux, Jorn/Les Amis de Michel Miniussi, pp. 48,   11,00).

Per la collana «Poésie» di Gallimard si segnalano: Le Monde terrible di A. Blok, nella traduzione di P. Léon e Et comme disait le Gabier di Alvaro Mutis, nella traduzione di F. Maspero, nonché gli Chants de Mihyar le Damascène di Adonis, seguito da Singuliers e preceduto dallo studio critico «L’espace d’Adonis» di Guillevic. La traduzione dall’arabo è di A. W. Minkowski e J. Berque. Walt Whitman è presentato e tradotto dal poeta J. Darras che, con la nuova versione di Feuilles d’herbe, fa seguito alla nota traduzione di V. Larbaud del 1918. Di particolare rilevanza, se non altro per i dibattiti che hanno sollevato, sono le traduzioni di Meschonnic dei Salmi (Gloires) e della Genesi (Au Commencement, Desclée de Brouwer), che si propongono come traduzioni ‘poetico-estetiche’ e non confessionali. Tra le sillogi, ricordiamo l’ Anthologie de la poésie thèque contemporaine, nella traduzione di P. Kral (Gallimard, coll. «Poésie», pp. 380, 4,50), Haiku (anthologie du poème court japonais), sempre a cura di P. Kral e per la stessa collana (pp. 240, 5,45).

 

Tra le traduzioni italiane di opere francesi menzioniamo quella delle Requêtes di Pierre Oster a cura di A. Marchetti (Richieste, Genova, Marietti, 2002, pp. 84,12,00) nonché quella, a cura dello stesso Marchetti, di Maintenance di M. Deguy (Manutenzione, Bologna, Il Capitello del Sole, 2001, pp. 38, € 6,20). Di B. Noël F. Scotto traduce Le Syndrome de Gramsci del 1994 (La Sindrome di Gramsci, introduzione di D. Bisutti, Lecce, Manni, 2001, pp. 91,11,36) nonché, sotto il titolo La pioggia d’estate (Ed. del Bradipo, Ascoli Piceno, 2001), diversi scritti di Bonnefoy (La pluie d’été; Il pleut, sur le ravin; La voix lointaine).

 

Tra le bellissime edizioni plurilingue di En Forêt/Verlag Im Wald (www.verlagimwald.de), ricordiamo Légende de Zakhor/Leggenda di Zakhor/Legende vom Andern di Pierre Autin- renier, con originale francese e tedesco dell’autore e versione italiana di F. Scotto (2002). L’opera è suddivisa in 10 fogli separati, recanti ciascuno uno scritto nelle tre versioni. Altrettanto raffinata è quella quadrilingue di L. Grisel, nell’originale francese La nasse con tre versioni tedesco-italiano-inglese: Die Reuse/La nassa/The fishtrap, a cura di R. Fischer, F. Scotto e C. Corman (2002, pp. 70,  14,00).

 

 

RIVISTE

 

 

PO&SIE, Revue trimestrielle, n. 103, 2003. Editions Belin, 8, rue Férou, 75278 Paris Cedex 06, www.editions-belin.com.

 

Impostata sulla doppia vocazione del suo noto animatore, Michel Deguy, la rivista si fa portavoce di un approccio filosofico alla poetica, richiamandosi in buona parte all’eredità idealistica tedesca. La sua tradizione di grande levatura culturale si riconferma in questo numero che si avvale, oltretutto, di due bellissimi scritti inediti di Dragonetti su Dante e Joyce. Suddiviso in due parti, il numero vede una  prima sezione dedicata ai testi (è la volta di otto poeti olandesi, presentati nelle traduzioni di D. Cunin, K. Coumans, J. H. Mysjkin, P. Gallissaires e K. Andringa, cui si associa un testo critico di C. Mouchard sulla «destruction des Juifs hollandais» in J. Presser) e una seconda riservata a interventi teorici di poetica e filosofia. Di particolare suggestione, in questa sezione, risultano i tre scritti di C. Malabou, studiosa vicina a Derrida, sulla «plasticité», che muovono dal concetto hegeliano di ‘sofferenza’ e ‘dialettica’ della forma già da lei trattato in due precedenti saggi. Nel rilevare l’emergenza, nella Fenomenologia dello spirito, del concetto (la plasticità’) dal puro predicato (‘plastico’), essa individua in questa transizione un assunto centrale del pensiero moderno e lo applica, nel secondo intervento, al caso degli ex-voto in quanto riproduzioni, in cera, di una parte del corpo sofferente (e quindi, ‘trasmutante’). Lo stesso concetto invita ad una ulteriore riflessione, sviluppata nel secondo scritto della serie, sulla «déconstruction du christianisme». Qui, C. Malabou si ispira alle formulazioni dell’ultimo Derrida sul primato moderno del tatto come mediazione della conoscenza mistica. Meno originale, rispetto ai due precedenti, quello sulla decostruzione linguistica in Pierre Guyotat. Il saggio di R. Pensom sulla metrica francese è invece volto ad avvalorare la tesi dei cosiddetti «accentualistes» (sostenitori di un’alternanza dell’accento come categoria prosodica principale del francese) di contro a quella dei «syllabistes» (difensori di un isosillabismo come unico tratto pertinente), adducendo esempi del «verslibrisme» tardo-ottocentesco. Per venire, infine, ai due saggi di Dragonetti, il primo è un commento ai canti XVIII-XX del Paradiso dantesco, con particolare riferimento alla grammatica mistica del Poeta (il valore en abyme del segno grafico come pittogramma reale e simbolico), dove si fanno interessantissimi riferimenti alla mistica pitagorica e platonica del numero ordinatore dell’universo, oltre che al particolare statuto ‘pittografico’ della littera, da cui prenderanno le mosse tutte le speculazioni settecentesche sull’emblema e il geroglifico. Il secondo scritto, dal titolo «Il maestro di color che sanno» (Inf. IV, 131), rileva la curiosa accezione con cui Joyce ha accolto il pronome «color»; ovvero, nel suo significato di ‘colore’, intessendovi tutta una metafisica della parola come mistica ‘rifrazione’ del bianco.

 

(Michela Landi)

 

 

SEPTIMANIE. Le livre en Languedoc-Roussillon. Revue trimestrielle, n. 12, mars 2003. E-mail: septimanie-crl@crlanguedocroussillon.fr

 

Malgrado l’intestazione, che si vuole poco pretenziosa (ispirandosi al modello della «gazette» a basso costo), questa rivista di ispirazione occitanica promossa dal Centre Régional des Lettres della regione Languedoc-Roussillon vanta, oltre ad una preziosa veste grafica, un comitato editoriale di rilievo che, pur saldamente impiantato nelle radici meridionali della cultura francese, si apre con grande vivacità e approfondimento critico alle problematiche del rapporto tra identità e pluralità. L’impostazione, prevalentemente sociologica, è evidenziata sia dall’editoriale di Gil Jouanard, suo principale animatore, sia dal «libre propos» di Robert Lafont, uno dei più noti filologi e sociologi della cultura occitanica. In entrambi i casi si affronta, sul piano sociopolitico, la questione peculiare della realtà francese, ovvero quella della «centralisation » intorno all’area parigina, nelle sue implicazioni ‘poietiche’ e nei suoi risvolti editoriali. Si rivendica, in particolare, oltre al diritto all’autonomia del pensiero e dell’azione (affinché le modalità di rapportarsi con l’altro non siano più mediate dal ‘potere centrale’ – e dalle sue istituzioni culturali – ma siano frutto di una autentica e diretta ‘reciprocità’), un riequilibrio dei mezzi di diffusione delle culture di Francia, fortemente sminuite dalla ‘rappresentatività’ linguistico-culturale dell’area parigina e della sua prerogativa ‘repubblicana’.

Mentre Jouanard ricorda l’appartenenza di Char, Ponge, Reverdy, Follain, Breton, Michaux, Artaud, all’area culturale meridionale, ampio spazio è riservato, in questo numero, alla poesia. Un ricco dossier è dedicato a Joë Bousquet, ricordato in un’intervista di Joseph Rouzel a Ginette Augier (recentemente scomparsa), una delle più importanti figure femminili che gravitarono intorno alla «chambre» in cui il poeta visse, dopo la ferita di guerra che lo paralizzò, per trent’anni. Lo struggente amore tra l’uomo infermo e la giovane fanciulla (testimoniato dalla bellissima corrispondenza pubblicata con il titolo di Lettres à Ginette) è qui ricordato dalla protagonista, cui seguono altre testimonianze di persone a lui vicine. Ad un articolo di Claude Leroy su F.-J. Temple e la sua ‘totemica’ «limule», segue quello di Serge Velay su René Char, incentrato sul rapporto tra poesia e politica, in una «indéfectible conjonction entre esthétique et éthique», tale che «il n’est pas un poème, pas une phrase [...] qui ne témoigne de ce que la forme naît des noces brutales du logos et du pathos»; quello che Velay definisce, sinteticamente, «un style». Un altro ricco dossier (preceduto da versi di F. Ducros in memoria di A. Du Bouchet) è dedicato a Pierre Reverdy, «le plus languedocien des écrivains», secondo la formula di Jouanard. Un testo di H. Deluy, infine, lo ricorda nel suo percorso poetico verso il ritiro spirituale presso l’abbazia di Solesmes. Chiude il numero una nutrita sezione relativa a novità editoriali, riviste incluse.

 

(Michela Landi)

 

 

ACTION POETIQUE, nn. 164, 165, 167-168, 2001-2002. Redazione: 3, Rue Pierre Guignois, 94200 Ivry-sur-Seine. Farrago/Leo Scheer éd.

 

Questi tre numeri della rivista, di cui uno doppio, perseguono le loro mire internazionali, pur con la sensibilità tutta «francilienne» che li caratterizza (i testi sono presentati solo in traduzione francese). Il primo numero, in ordine cronologico, si apre con un ricordo di André du Bouchet da parte di C. Adelen, seguito da un intervento di Maurice sulla traduzione di Brecht. Un dossier speciale è dedicato alla poesia danese, cui si aggiungono testi di J. Julien Guglielmi, J. Demarcq, Marie Rousset. Un ampio spazio è riservato alle «Chroniques», la cui formula è un pastiche tra «compte-rendu» e intervento creativo sull’opera in questione. Il n. 165 si apre con la riproduzione manoscritta di un bel testo di B. Noël (Poème d’attente), cui seguono due interventi: uno di Maurice su Hugo, l’altro – piuttosto un’invettiva del più puro stile di M. Deguy – contro l’‘impunità’ critica di Meschonnic (la ragione è il sempre più rigido dogmatismo del poetologo che rifiuta, al dire di Deguy, ogni scuola di pensiero che non sia la propria). Il dossier principale è questa volta dedicato ai poeti indigeni del Messico. Ma, mentre anche in copertina si allude alla varietà linguistica di queste produzioni (unica nominale ‘sopravvivenza’ delle lingue «nahuatl, zapotèque, maya, tojolabal, mazatèque»), i testi sono, come di consueto, presentati nella sola traduzione francese. La ‘mania’ sonettistica di Roubaud si riconferma nel numero doppio, che presenta in anteprima una scelta, a cura dello stesso poeta, di sonetti precedenti al 1914 (tra cui quellidi Hérédia, Allais, Mendès, Renard, Tailhade), destinata ad essere proposta in una silloge di prossima pubblicazione dedicata alla forma-sonetto in Francia tra il XIX e il XX secolo. Un ampio dossier, con ben dodici interventi, è dedicato alla poesia di Jean-Pierre Faye. Si sottolinea la sua vena molteplice, la sua ispirazione ‘figurativa’ e metagrafica, il suo slancio parodistico nei confronti della tradizione prosodica nazionale, nonché la forza di iscrizione della sua voce nel testo. Sul piano tematico, si evidenzia la sua propensione per la concettualizzazione della plasticità (Verres) e dello scambio, che dette anche il titolo ad una omonima rivista da lui animata («Le change»). Seguono testi di Gertrude Stein, T. S. Eliot (e qui l’inglese fa invece la sua comparsa, in compresenza ‘dialogica’ con il francese). Segue una corposa sezione dedicata a undici nuovi poeti, ed una, consueta, di cronache (recensioni ‘creative’).

 

(Michela Landi)

 

 

MAGAZINE LITTÉRAIRE, n. 421, juin 2003. 4, rue du Texel, 75014 Paris. www.magazine-litteraire.com; e-mail: magazine@magazine-litteraire.com

 

Questo noto mensile di informazione letteraria, la cui formula intermedia tra la critica accademica e la divulgazione continua a riscuotere ampio consenso internazionale, fa seguito al recente numero speciale di «Europe» (nn. 890-891, juinjuillet 2003) per festeggiare, in occasione dei suoi ottanta anni, Yves Bonnefoy(1). Il dossier, corredato di una bella iconografia, di una nutrita bibliografia e di una cronologia delle opere, presenta ben quattordici interventi critici, nonché un inedito del poeta, dal titolo Une pierre. Di particolare rilievo è l’entretien tra Bonnefoy e Starobinski, intorno ad una delle opere capitali di Bonnefoy, L’arrière-pays, dove si uniscono in una unica contemplazione, immagine e parola. Nell’intervista curata da R. Kopp, invece, Bonnefoy ripercorre criticamente il suo itinerario, ricordando l’iniziale adesione al surrealismo nonché l’ammirazione per Valéry di cui seguì le lezioni, l’entrata al Collège de France, e la sua scelta di tradurre Shakespeare. Ricordando la ‘riduzione’ della poesia a pura fenomenologia della parola nel pensiero sartriano, Bonnefoy osserva che «la poésie n’est pas identifiable à une vérité formulable, elle n’est que le soc qui retourne le sol où la pensée ensemencera, pour des vérités qui resteront relativesaux situations de la vie sociale». Egli osserva,altresì, rilevando la crisi attuale

della democrazia in Occidente, la stretta correlazione tra poesia e democrazia, giacché, come egli scrive, il lavoro della poesia è quello di relativizzare i sistemi di lettura che il pensiero concettuale istituisce e di rivelare, al di là di una ristretta cittadinanza ed appartenenza culturale, l’alterità possibile di ciascuno. Altra modalità di sperimentare l’infinità dei possibili è quella della traduzione, lettura assoluta nell’hic et nunc storico in cui viene penetrata. Tra coloro che hanno ricordato aspetti della sua poetica e l’amore dei suoi maestri (Baudelaire, Mallarmé, Valéry) figurano, tra gli altri, J. Clair, P. Alechinsky, M. Olender, J.-M. Maulpoix, P. Brunel, M. Jarrety.

Da rilevare, inoltre, in questo numero, un’intervista con Michel Le Bris, principale animatore dell’oramai noto festival letterario «Etonnants voyageurs» di Saint Malo (7-9 giugno 2003; www.etonnantsvoyageurs. net), nonché un saggio di Régis Debray («Penser le religieux»).

 

(Michela Landi)

 

Si segnala, nel giugno 2003, l’uscita del primo numero di «Agotem», rivista di poesia francofona, animata, fra gli altri, dal poeta africano Nimrod (Chad) e dall’antillano Monchoachi, che intendono, con questa iniziativa, rendere omaggio al loro maestro, L.S. Senghor.

Si segnala altresì il n. 875 di «Europe», interamente dedicato alla poesia, con il titolo L’ardeur du poème, a cura di J.-B. Para e A. Velter.

 

 

NOTE

(1) Oltre alla già menzionata raccolta: Les Planches courbes e al Coeur-Espace d’ispirazione surrealista oggi riproposto in due versioni (si veda sopra: «Segnalazioni») si ricorderà, di Bonnefoy, Breton à l’avant de soi (testo di una conferenza pronunciata nel 1996 alla Sorbona; Farrago-Léo Scheer, pp. 120,   13,72) e Poésie et architecture (testo, anche questo, di una conferenza tenuta a Roma nel gennaio 2000, William Blake & Co ed., pp. 42,   10,67), mentre due opere collettanee a lui dedicate sono uscite alla fine del 2001: Avec Yves Bonnefoy. De la poésie, a cura di F. Lallier (Presses universitaires de Vincennes, pp. 134,   19,82) e Yves Bonnefoy et le XIXe siècle: vocation et filiation, a cura di D. Lançon (Publication de l’Université François-Rabelais di Tours, pp. 358,   13,72).