DELLA NIDDAH
O RACHELE E LE SUE SORELLE
ALICIA OSTRIKER
tradotta da Elisa Biagini
RACHEL SOLO Not getting mad, just getting even, Papa, I’ll say goodbye to you, I’ll load my camel with my goods And take your household idols too, And should you come to search of them With indignation red and blue I’ll sit upon your statuettes And make good use of a bad taboo. Papa, I’ll say, forgive me but My monthly’s here, don’t misconstrue This failure to get up... And you’ll Back off in dread. That’s what I’ll
do. |
ASSOLO DI RACHELE Non per farti arrabbiare, ma
solo per essere pari Papà, ti dirò addio, caricherò il cammello con le
mie cose e prenderò anche i tuoi idoli
protettori, e se verrai a cercarli paonazzo per l’indignazione, io sarò seduta sopra le tue
statuette e farò buon uso di un cattivo
tabù. Papà, dirò, perdonami ma ho il mio mese; non
interpretare male questo mio non alzarmi... e tu indietreggerai con orrore.
Ecco quello che farò. |
Racconta la Bibbia (in Genesi 31)
di come Rachele, prima di allontanarsi dalle terre del padre Labano con il marito
Giacobbe e la sorella, avesse deciso di vendicarsi della violenza paterna di anni,
dell’arroganza verso le figlie e le schiave, della sua ottusità, decidendo di
colpire il vecchio nel suo unico punto debole: i suoi terafim.
Questi erano gli idoli protettori
(ognuno con un ruolo specifico) presenti in ogni casa di Paddan-aram e
dell’intera zona, come pure presenti, nelle tende delle donne, erano le
immagini della Dea madre, il cui culto rimarrà a lungo vivo nonostante la
rapidissima espansione del monoteismo del dio di Israele. (Si manterrà vivo infatti
un mondo alternativo di rituali e preghiere, molto spesso legate alla terra e
alla luna e di conseguenza al corpo che con questa muta.)
Le donne, relegate ai loro ruoli di
cuoche e di madri, ai loro ritmi di lavoro massacranti avevano un’unica pausa:
durante la mestruazione. Esistevano infatti (e ancora esistono in molte zone del
mondo) delle tende (o capanne o stanze separate a seconda dei diversi paesi)
dove le donne potevano isolarsi e trascorrere del tempo raccontandosi storie,
scambiando esperienze e conoscenze in un ambiente solo loro.
Ma come mai queste donne potevano
permettersi questa sorta di vacanza, nel senso di un allontanamento dall’invasivo
e dominante mondo maschile? Perché queste, durante la mestruazione, erano
impure e quindi pericolosissime per lo spesso precario equilibrio di queste
società pastorali: il loro sangue era misterioso perché non frutto di una
ferita o isolato, ma ricorrente, una sorta di morte e rinascita mensile che
agli occhi maschili sembrava essere caratteristica di un essere dotato di
poteri incomprensibili e come tali minacciosi. Una donna mestruata non poteva infatti
toccare nulla (e quindi tanto meno cucinare perché rischiava di avvelenare
tutti) perché le sue mani apparentemente pulite potevano nascondere delle
rimanenze di sangue sotto le unghie (ed è questa una delle prima cose, ancora
oggi, della quale accertarsi durante il bagno purificatore post-mestruazione fatto
dalle donne ebree osservanti, il Mikveh).
Le donne, nell’immaginario maschile,
sembravano dunque avere poteri quasi magici (e si pensi alle streghe in tempi
successivi), di morte e come tali andavano allontanate e isolate, lasciate ai
loro riti segreti, al loro parlare con la natura: ma alla lunga si capì come
questa pausa isolata fosse sì positiva per arginare la loro possibile contaminazione,
ma fosse anche un’occasione per queste di liberarsi dall’autorità maschile e
dalle sue regole, anche se per un breve tempo. Queste donne infatti non
provavano vergogna, né si sentivano impure, anzi salutavano con gioia questa parentesi
dal duro lavoro ponendosi in una posizione potenzialmente conflittuale con
l’autorità maschile perché a questa alternativa e non succube.
Si entrò allora nelle tende, si
interruppero i canti e le preghiere, si proibì di adorare la Dea madre e si
istillò nelle menti delle donne – da allora per sempre sotto controllo – il
senso della vergogna, dell’inferiorità. Non si parlò più del sangue, si trovarono
mille espressioni diverse che mai lo nominassero davvero, si abbassarono gli occhi,
ci si vergognò di andare a comperare gli assorbenti, si inventò la sindrome
premestruale.
Ma sto andando troppo avanti in questa
storia: adesso invece siamo nella tenda con Rachele che si sta ripassando la
parte. Guarderà dritto in faccia quel padre prepotente e userà la sua unica arma
di donna: il suo sangue, il suo misterioso potere, che spaventa anche al solo
nominarlo.
In questa breve lirica della Ostriker,
parte (come pure gli altri testi qui tradotti) di La nudità dei padri.
Visioni e revisioni bibliche – testo fra il saggio, la raccolta poetica e
l’autobiografia – sono dunque racchiusi tanti e fondamentali temi, e Rachele è «sorella
di lotta» di Sara, Miriam e Hagar, donne sole contro l’oppressivo potere maschile,
il cui ruolo nel testo biblico benché fondamentale diventa sempre secondario
rispetto ai vari Giacobbe o Mosè o Isacco.
Donne che, benché rispettate nel loro
fondamentale ruolo di madri, non hanno reale voce in capitolo nelle decisioni
del gruppo; donne alle quali è ribadita costantemente la propria impurità a
cominciare dal momento del parto: in Levitico 12, 2-5 si dice che se la
donna partorirà un maschio sarà impura per sette giorni, ma se partorirà una
femmina sarà impura per quattordici giorni, e molti di più saranno naturalmente
i giorni nei quali non potrà toccare né entrare nei luoghi santi; donne che
sono realtà spaventose perché potenti e come tali devono essere neutralizzate.
E proseguendo sempre nel Levitico si
legge (25, 26) che ogni cosa dove questa giacerà sarà impura, ogni cosa dove
essa si siederà (come nel caso del testo su Rachele), ogni oggetto che essa toccherà:
sarà dunque controllata a vista e le sarà costantemente ribadita la sua
pericolosità (e naturalmente alla fine della sua fase di impurità questa dovrà
fare sacrificio a Dio per tornare nelle Sue grazie).
Non molto spesso nella Bibbia le donne
parlano in prima persona – e sempre brevemente –, e talvolta sono identificate
solo attraverso il loro grado di parentela con un uomo, senza che venga dato
loro neppure un nome: nei midrashim della Ostriker, confluiscono le voci
di tante donne «silenziate», mille storie che non ci sono mai state raccontate
(e anche quando non parlano sono comunque tenute d’occhio: Sara osa sorridere, probabilmente
di piacere, alla notizia della propria tardiva gravidanza e Dio la rimprovera subito
duramente; Genesi 18, 12-15). L’intento della poetessa americana è
infatti, nelle sue parole, « to read a text of power through the eyes of the
powerless», e quindi Sara che si tormenta per la propria sterilità ed è gelosa
di Hagar che dà per prima un figlio a Abramo, ma che al contempo riconosce la
grettezza del marito (riferendosi all’episodio nel quale lui le chiede di
passare per sua sorella in modo da ingraziarsi il Faraone, che è anche, fra le
altre cose, il primo dialogo diretto uomo-donna della Bibbia; Genesi 12,
12-13) e il fatto che Hagar è una donna come lei che la società impone che le
sia rivale e non amica e compagna solidale. Queste donne che sono accettate e
tollerate solo per la loro capacità di far figli (e di qui la peggiore
maledizione possibile: la sterilità, ‘Aqarut, che significa « morte
nella vita » ) sui quali però, appena questi hanno raggiunto l’età adulta, esse
non hanno più alcun potere e i loro padri possono pure tentare di ucciderli,
come nel caso dell’ ‘Aqedah di Isacco.
Il testo che dà voce ad Hagar offre
anche un altro piano di lettura: lei e Sara sono divise – anche se si erano fatte
promesse diverse, «dimentichiamoci le nostra nazionalità, dimentichiamoci / i
ceti sociali[...] / saremo donne insieme» – in quanto una egiziana (e madre
dell’antenato degli Arabi, Ismaele che, come Alicia ci ricorda, è infatti colui
che nel Corano è quasi sacrificato da Abramo) e una ebrea, una meditazione
sull’attuale situazione politica di sempre maggiore separazione e impossibilità
di comunicazione tra i due popoli. Neppure alle sorelle di sangue è risparmiata
la rivalità utile al gruppo, come nel caso di Lea e Rachele: «Sorella, non era
nei nostri piani / lottare per un uomo, e allora perché lo facciamo?». Messe
una contro l’altra prima dal padre Labano e poi dal marito Giacobbe che
favorisce platealmente Rachele (e già Dio aveva favorito in bellezza Rachele a scapito
di Lea, segnando quindi il destino di entrambe; Genesi 29, 16-17),
dimenticano la solidarietà dell’infanzia per una lotta per l’attenzione del
marito, trascinando in quest’odio anche i propri figli (come si vede
nell’episodio della vendita, da parte dei fratelli, di Giuseppe a dei mercanti
egiziani; Genesi 37, 27).
E infine Miriam, la prima poetessa e
artista nonché profetessa, personaggio chiave nella salvezza del tanto amato da
Dio, Mosè. Miriam che però parla troppo, che osa dire quello che pensa a Mosè
insieme al fratello Aronne, ma che è l’unica ad essere puntita da Dio con
l’orrore della lebbra per aver osato tanto. Miriam reclama uno spazio di
dialogo con Dio in quanto sorella del prescelto Mosè, qualcosa di mai prima
sentito, e Dio, adirato,non solo le manda la malattia ma la fa allontanare dal
campo per 7 giorni e dice a Mosè, perché questo glielo riferisca, «Se suo padre
le avesse sputato in viso non avrebbe dovuto essere piena di vergogna per 7 giorni?»
(Numeri 12, 14). Dio ha rimesso al suo posto la donna che ha osato
lamentarsi: che sia monito e esempio per tutte le altre. Ma la Miriam
dell’Ostriker non si piega, e canta e coinvolge le donne in un canto gioioso
per la fine della schiavitù: è la madre di tutte le poetesse che non si fanno zittire
da minacce maschili, la prima di infinite voci di protesta, «che cosa ho se non
la voce, per annunziare la libertà».
SARAH, OR DEFIANCE I. And he goes in to Hagar And I want to die And she conceives And is faithless to me And mocks me In front of him Ignorant, servile girl We should be allies We are both exiles, all Women are exiles I tell her She smiles slyly And he is happy with her And I want to die And then it is my turn Behold the fruit of my womb Get out, I say And take your snotnose son with you God has blessed me And my husband Does what I tell him II. I did not die of heartbreak When my son was stolen Or of joy at his return Or of anger at my husband’s God Despite what you may have heard When I died of age He shut me on a box I am but a stranger and sojourner Among you, he said to the men of Hebron It was the same story When he exchanged me For cattle and servants With Pharaoh and Abimelech Everyone pretending I was his sister Though nobody was fooled They bow and smile, the men From the Hebron marketplace They say: we will give you A place to bury your dead My husband is nervous, he pulls At his wispy beard He replies: give me A place to bury my dead Out of my sight— He agrees to pay An extravagant price, he Senses me through wood, rock, Gravel, grass, Watching him. THE OPINION OF HAGAR I have no opinion I am an Egyptian woman They sold me and made me her slave Like everyone else I was in love With her beauty She pretended to care for me Forget about nationalities, forget About social rank, she would say We are women together That is what matters, Hagar She used me When she couldn’t have a child herself She made me sleep with her husband -That old, creepy man- When my son was born She was yellow with jealousy Of my round breasts, of my strong healthy boy Finally she too had a son What a laugh, a thin stick of a baby Who whined and spit up food all day Just what you would expect From those threadbare sacks of parents But that was the end of me She threw me away Like garbage Hagar, she jeered, Hagar the stranger You see how humble I am My son is another story Not like me, he is free and courageous A wild ass of a man He can read and write He can run a printing press He can shoot an AK-47 I call him Ishmael, I whisper to him: Fight to your dying breath But I still wonder Why could she not love me We were women together THE SISTERS See-saw! See-saw! We did it when we were kids, A plank across a fallen log And we’d fly, Our braids would fly, One up! One down! Sister, it wasn’t our plan To fight over a man, So why do we do it? Why do they want us To hate each other? Babies! Make babies! Make more that your enemy! See-saw! Do it this way! A demographic war Is what you are good for, And don’t forget to weep Later, when they are not, They say. And we obey! THE SONGS OF MIRIAM I’m a young girl My periods not started yet Up to my waist in Nile water, I push The baby basket through the bulrushes Onto the beach Come on, I say to myself, let’s go And they see it And come running My brother cries like a kitten In the arms of that princess Her painted face fills with the joy Of disobedience, which is the life of joy When she is hooked I walk Out of the river Bowing and bowing I am Miriam, daughter of Israel We gather the limbs, we gather the limbs We gather the limbs of the child We sing to the river, we bathe in the river We save the life of the child. If you listen to me once You will have to go on listening to me I am Miriam the prophetess Miriam who makes the songs I lead the women in a sacred circle Shaking our breasts and hips With timbrels and with dances Singing how we got over O God of hosts The horse and his rider Have you thrown into the sea- That is my song, my music, my unended and unfinished prophecy- The horse was captivity And its rider fear- O God of hosts Never again bondage Never again terror O god of hosts. Call me rebelliuosness, call me bitter sea I peel the skin off myself in strips I am going to die in the sand Miriam the leprous, Miriam the hag Miriam the cackling one What did I have but a voice, to announce liberty No magic tricks, no miracles, no history, No stick Or stone or law. You who believe that God Speaks only through Moses, bury me in the desert I curse you with drought I curse you with spiritual dryness I spit on your promise But you who remember my music You will feel me under your footsoles Like cool ground water under porous stone- Follow me, follow my drum Follow my drum, follow my drum Follow me, follow my drum Follow my drum. I who am maiden woman and crone I who am Miriam |
SARA, O LA SFIDA I. E lui va dentro da Hagar e io voglio morire e lei concepisce ed è sleale con me e si fa gioco di me di fronte a lui ragazza servile e ignorante dovremmo essere alleate siamo entrambe esuli, tutte le donne sono esuli le dico lei sorride furba e lui è contento con lei e io voglio morire e poi viene il mio turno vedi il frutto del mio ventre vattene, dico e prendi il tuo moccioso con
te Dio mi ha benedetta e mio marito fa quello che gli dico II. Non sono morta di crepacuore quando mio figlio è stato
rubato o di gioia al suo ritorno o di rabbia verso il Dio di
mio marito nonostante quello che potete
aver sentito quando sono morta di vecchiaia mi ha chiusa in una scatola non sono che uno straniero e
un ospite fra di voi, ha detto agli
uomini di Hebron era la stessa storia come quando mi dette in cambio di bestiame e servi al Faraone e Abimelech ognuno fingeva che fossi sua
sorella anche se nessuno c’era caduto S’inchinano e sorridono, gli
uomini del mercato di Hebron dicono: ti daremo un posto per seppellire i tuoi
morti mio marito è nervoso, si tira la sua barba sottile risponde: datemi un posto per seppellire i miei
morti lontano dalla mia vista— acconsente a pagare un prezzo esagerato, lui mi sente attraverso legno,
pietra, ghiaia, erba, osservarlo. L’OPINIONE DI HAGAR Io non ho opinioni sono una donna egiziana mi hanno venduta al mercato e
fatta la schiava di lei come chiunque altro ero
innamorata della sua bellezza lei faceva finta di tenerci a
me dimentichiamoci le nostre
nazionalità, dimentichiamo i ceti sociali, mi diceva siamo donne insieme questo è quello che conta,
Hagar mi ha usata quando non ha potuto avere un
figlio lei stessa mi ha fatto dormire con suo
marito – quel vecchio bavoso – quando è nato mio figlio era gialla di gelosia per i miei seni tondi, il mio
bambino forte e sano finalmente anche lei ha avuto
un figlio che farsa, uno stecchino di
neonato che piagnucolava e rigurgitava
tutto il giorno cosa altro ti saresti aspettato da quei logori sacchi di
genitori ma questa è stata la fine per
me lei mi ha buttata via come spazzatura Hagar, mi ha sbeffeggiata,
Hagar la straniera tu vedi come sono umile io mio figlio è un’altra storia non come me, lui è libero e
coraggioso un tipo sfrenato lui può leggere e scrivere può gestire una macchina
tipografica può sparare con un AK-47 io lo chiamo Ismaele e gli
sussurro: lotta fino al tuo ultimo
respiro ma io ancora mi chiedo perché lei non mi abbia amata noi eravamo donne, insieme LE SORELLE Altalena! Altalena! lo facevamo quando eravamo
piccole, un’asse di traverso ad un
tronco caduto e volavamo, le nostre trecce volavano, una su! Una giù! Sorella, non era nei nostri
piani combattere per un uomo, e allora perché lo facciamo? Perché vogliono che ci odiamo? Bambini! Fare bambini! Fanne più del tuo nemico! Altalena! Falla in questo
modo! Una guerra demografica è quello per cui sei adatta, e non dimenticarti di piangere più tardi, quando loro non lo
faranno, dicono. E noi obbediamo! LE CANZONI DI MIRIAM Sono una ragazzina non ho ancora avuto
mestruazioni nell’acqua del Nilo fino alla
vita, io spingo il cesto col neonato
attraverso i papiri sulla spiaggia forza, dico a me stessa,
andiamo e loro lo vedono e vengono correndo mio fratello piange come un
gattino nelle braccia di quella
principessa la sua faccia truccata si
riempie della gioia della disobbedienza, che è la
vita della gioia quando lei ha abboccato io
esco fuori dal fiume inchinandomi e inchinandomi io sono Miriam, figlia d’Israele Raccogliamo le membra,
raccogliamo le membra raccogliamo le membra del
bambino cantiamo al fiume,
bagnamoci nel fiume salviamo la vita del
bambino Se mi ascolti una volta dovrai continuare ad
ascoltarmi sono Miriam la profetessa Miriam che compone le canzoni guido le donne in un cerchio
sacro scuotendo i nostri seni e le
anche con tamburelli e danze cantando come siamo
sopravvissute o Dio degli eserciti il cavallo e il suo cavaliere tu hai gettato nel marequesta è la mia canzone, la mia
musica, la mia inconclusa e infinita
profeziail cavallo era la cattività e il cavaliere la paura- O Dio degli eserciti mai più schiavitù mai più terrore O Dio degli eserciti Chiamami ribellione, chiamami
mare amaro mi tolgo di dosso strisce di
pelle morirò nella sabbia Miriam la lebbrosa, Miriam la
strega Miriam la schiamazzante che cosa ho se non la voce,
per annunziare la libertà niente trucchi, miracoli,
niente storia, nessun bastone o pietra o legge. Tu che credi
che Dio parli solo attraverso Mosè,
seppelliscimi nel deserto io ti maledico con la siccità ti maledico con aridità
spirituale sputo sulla tua promessa ma tu che ricordi la mia
musica mi sentirai sotto le piante
dei piedi come fresca acqua sotto una
pietra porosa- Seguimi, segui il mio
tamburo segui il mio tamburo, segui
il mio tamburo seguimi, segui il mio
tamburo segui il mio tamburo io che sono ragazza donna e vecchia io che sono Miriam |
Alicia Ostriker (New York, 1937) ha pubblicato nove raccolte
poetiche (la più recente delle quali è The volcano poems, Pittsburgh Press
2002) e numerosi saggi critici tra cui Stealing the language. The
emergence of women’s poetry in America (Boston,1996) e The
nakedness of the fathers. Biblical visions and revisions (New runswick, 1994), da cui sono tratti
i testi qui presentati. La poetessa insegna Letterature Inglese e Scrittura
creativa alla Rutgers University (New Jersey, U.S.A.).
Per aiutarmi nella stesura di questo testo, oltre ai due saggi
critici della Ostriker sopra citati, ho utilizzato The curse. A cultural history
of menstruation (Urbana and Chicago, 1988) di J. Delaney, M.J. Lupton and
E. Toth, Le matriarche (Firenze, 2002) di Catherine Chalier, nonché
varie edizioni della Bibbia. A questi ho unito appunti e riflessioni raccolti
nel tempo su questo argomento.