E’ dunque indispensabile all’uomo
che vuole amare Dio o che già lo ama,
esaminare sempre il suo animo, interrogare la
sua coscienza su che cosa sia ciò che
egli vuole in modo assoluto, e sui motivi per
cui vuole qualunque altra cosa voglia lo spirito,
o odi qualunque cosa in contrario desideri la
carne. Certe volizioni, infatti, vengono e vanno
come dall’esterno, sfiorando l’anima,
e per esse ora si vuole, ora non si vuole. Non
vanno ascritte tra le volontà, ma quasi
tra i pensieri oziosi. Benché infatti
esse talvolta giungano sino a incantare l’anima,
una volta padrona di se stessa quest’ultima
tuttavia velocemente se ne libera. Per ritornare
a quel che vuole in modo assoluto, l’anima
deve prima esaminare che cosa sia ciò
che essa vuole così: in seguito, in che
misura e in che modo lo voglia. Se ciò
che essa vuole assolutamente è Dio, bisogna
che essa vagli bene in che misura e in quale
maniera voglia Dio, se fino al disprezzo si
sé, di tutto ciò che esiste o
può esistere; e ciò non soltanto
in virtù di un giudizio della ragione,
ma ancora per un affetto dell’animo, in
modo che la volontà sia più che
volontà: sia amore, dilezione, carità,
unità dello spirito. E’ così
infatti che bisogna amare Dio. Una volontà
grande tesa verso Dio, è amore; la dilezione,
è l’aderenza o l’unione con
Dio; la carità ne è il godimento.
Quanto all’unità dello spirito
con Dio, per l’uomo che volge il cuore
in alto, è la perfezione della volontà
nella sua ascesa verso Dio; non soltanto l’anima
vuole ciò che Dio vuole, ma tale è
non tanto la sua affezione, quanto la perfezione
della sua affezione, che non può voler
altro che ciò che Dio vuole.
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