<< Quanto diletti sono i suoi tabernacoli,
Signore della virtù>>: <<il
passero vi si trova un riparo e la tortora un
nido dove deporre i suoi piccoli>>. Il
passero, dico, questo animale vizioso per natura,
incostante, leggero, importuno, garrulo, incline
al piacer, la tortora, amica del pianto, che
sceglie a sua dimora abituale le solitudini
ombrose, immagine di semplicità, modello
di castità. In quelli, l’uno si
trova una dimora di quiete e sicurezza; l’altra,
un nido dove deporre i suoi piccoli. Cosa rappresentano
questi esempi, se non il sangue naturalmente
caldo e l’anima ardente dei giovani, l’età
incostante, l’agitazione inquieta; e,
d’altra parte, la maturità virile,
lo spirito serio, casto riservato, tediato dai
beni esteriori, raccoglientesi in se stesso
nella misura del possibile? Il primo, nei tabernacoli
del Signore delle virtù, nella disciplina
delle celle, scopre per se una quiete lontana
da tutti i vizi, un saldo sostegno e una dimora
di sicurezza. Il secondo trova, nel segreto
della cella, un ritiro ancora più appartato
per la sua coscienza, dove deporre e nutrire
i frutti delle sue sante disposizioni e i sensi
della sua contemplazione spirituale. <<Solitario
sul tetto>>, e cioè nella sublimità
della contemplazione, il passero si compiace
di calpestare la dimora della sua frequentazione
carnale: la tortora trova la sua fecondazione
nelle regioni meno elevate e gode nei frutti
dell’umiltà. I perfetti o spirituali,
che sono designati dalla tortora, richiamandosi
per il sostegno e l’affermazione della
loro virtù alla virtù dell’obbedienza
e della sottomissione, si abbassano sempre e
si riducono al livello che è proprio
dei principianti. Ma quando discendono al di
sotto di loro stessi, si elevano al di sopra,
e umiliandosi progrediscono di più. Nel
godimento dei frutti della solitudine, questi
rapimenti frequenti e sublimi della contemplazione,
essi non si credono per ciò stesso dispensati
dalla pratica coscienziosa della sottomissione
volontaria, dalla partecipazione alla vita comune,
dalla dolcezza della carità fraterna.
Perciò l’uomo spirituale, con l’uso
spirituale anche delle sue membra, merita di
ricevere come una disposizione quasi naturale
questa loro sottomissione, che l’uomo
animale ottiene con la violenza, e il razionale
con la forza dell’abitudine. In questi,
un’obbedienza di necessità: in
lui, un’obbedienza d’amore. In essi,
delle virtù colme di faticoso impegno;
in lui quelle stesse virtù già
fattesi costume di vita. Quanto ai passeri di
Dio, si innalzano verso le altezza che sono
dei perfetti, non con la presunzione dell’orgoglio,
ma con la pietà dell’amore; e,
nella povertà del loro spirito, non sono
respinti come degli orgogliosi, ma accolti come
dei devoti. Talvolta, anche meritano,di sperimentare
ciò di cui godono gli spirituali. E sempre
si sforzano di imitare la vita attiva di quelli,
alla cui consolazione contemplativa aspirano.
(La lettera d'oro, c. Leonardi, pp. 193-95)
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