Come ogni agente naturale tende necessariamente
al fine cui aspira e per cui deve agire, così
è necessario all'agente dotato della
conoscenza conoscere il fine cui tende. Ma l'uomo
non è per natura capace di sapere da
sé in che cosa consista questo fine.
Aristotele, fondandosi sulla ragione naturale,
faceva consistere la pienezza della felicità
nella conoscenza delle sostanze separate (1
Eth., 10) ...
La conoscenza delle sostanze separate e di tutto
ciò ch'è ad esse inerente è
la più nobile di tutte le conoscenze
... ed è la più necessaria per
noi, più di quella che concerne le cose
sensibili. Ma tale conoscenza non si può
avere con le sole forze naturali ... infatti
il Filosofo nel I libro della Metafisica dice
che il sapiente non conosce se non qualche cosa
di tutto, ma la conosce nel suo aspetto generale,
non particolare. ... Le sostanze separate non
si conoscono nelle loro cause (propter quid)
, perché per conoscerle sarebbe necessario
conoscere il soggetto a cui appartengono; ma
questo soggetto sfugge alla nostra conoscenza
naturale. Nè si possono conoscere dagli
effetti (demonstratio quia): questi infatti
producono dubbio ed errore, come a proposito
delle proprietà della prima sostanza
immateriale [cioè di Dio]. La proprietà
della sua natura è di essere comunicabile
a tre [persone]: ma gli effetti non mostrano
questa proprietà, perché non provengono
da lui in quanto trino. Se si argomenta dagli
effetti alle causem, si cade piuttosto nell'errore
contrario, poiché in nessun effetto si
trova una natura che non sia un solo supposito.
La proprietà della sua [di Dio] natura,
considerata in relazione a ciò che è
esterno ad essa (ad extra) è di causare
per libera scelta (contingenter); mentre all'opposto,
la considerazione degli effetti induce in errore,
come è evidente dall'opinione dei filosofi,
che hanno sostenuto che il primo [cioè
Dio] causa necessariamente. (Opus oxoniense,
1.I.i, ed. Wadding V.1, pp. 6, 17)
|