Costretto dalle preghiere di alcuni confratelli, scrissi un opuscolo come esempio di meditazione sulla razionalità della fede, impersonando uno che ricerca ciò che ignora, ragionando tacitamente fra sé; ma, considerando che esso è intessuto dalla concatenazione di molti argomenti, cominciai a domandarmi se non si potesse trovare un argomento solo che non avesse bisogno di nessun altro per aver valore dimostrativo, e bastasse da solo a dimostrare che Dio esiste veramente, e che è il sommo bene autosufficiente, e del quale tutte le cose hanno bisogno per esistere e per essere buone, e tutte le altre cose che crediamo della divina essenza. E, volgendo io spesso e con impegno il pensiero a ciò, talora mi pareva di poter ormai afferrare quello che cercavo, talora esso sfuggiva del tutto al mio pensiero, sicché finalmente, disperando di trovarlo, volli smettere la ricerca di una cosa che era impossibile da trovare. Ma, quando volli scacciare da me quel pensiero, affinché, occupando invano la mia mente, non mi distogliesse da altri dai quali potessi ricavare qualche profitto, allora cominciò a presentarsi con sempre maggiore importunità a me che non volevo e mi difendevo da esso. Mentre dunque un giorno molto mi affaticavo per resistere alla sua importunità, nella stessa lotta dei pensieri mi si offrì ciò che ormai disperavo di trovare, sì che afferrai diligentemente quel pensiero che prima ero così sollecito di respingere. …
E poiché non mi pareva di poterli pubblicare [i due opuscoli] senza un titolo col quale invitassero in qualche modo alla lettura colui nelle cui mani fossero capitati, diedi ad ognuno il suo titolo e chiamai il primo Esempio di meditazione sulla razionalità della fede e il secondo La fede che cerca la comprensione (fides quaerens intellectum) … E chiamai quel primo opuscolo Monologion, cioè soliloquio, e questo Proslogion, cioè colloquio. (Proslogion, tr. Sciuto, p. 305)

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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