Dr. Laura Carraresi (Firenze, 1971)

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RELAZIONE ANNUALE - Primo Anno di Corso (1999-2000)

Durante il Iƒ anno di dottorato la dott.ssa Laura Carraresi si è dedicata alla messa a punto di sistemi, atti a verificare l'efficacia di un nuovo metodo di trapianto di epatociti, sviluppato nel laboratorio di cui fa parte.

Il trapianto di epatociti isolati, in grado di ripopolare fegati affetti da patologie di natura ereditaria o acquisite, sembra sempre più rappresentare una valida alternativa al trapianto dell'intero organo. Gli studi finora effettuati sul trapianto di epatociti isolati utilizzavano siti di inserzione quali la vena porta e la milza e prevedevano, per la maggior parte, l'epatectomia parziale, come stimolo per la proliferazione cellulare, risultando pertanto estremamente traumatici per il ricevente.

Il metodo di trapianto tuttora in fase di studio nel laboratorio, in cui lavora la dott.ssa Carraresi, mostra alcuni vantaggi rispetto a quelli finora utilizzati, essendo più semplice da effettuare e meno traumatico per il ricevente, sfruttando come sito di impianto delle cellule, l'omento, il pannello di grasso posto nella regione peritoneale, estremamente vascolarizzato e per questo motivo ritenuto una delle vie, oltre a quella linfatica, sfruttate dalle cellule tumorali per metastatizzare negli altri organi. Per esaminare in maggior dettaglio la migrazione e l'organizzazione degli epatociti, trapiantati con tale metodo, nel fegato del ricevente, la dott.ssa Carraresi ha costruito un vettore di espressione epatospecifico, in grado di indurre l'espressione negli epatociti di un gene marker, la green fluorescent protein (GFP), che ha impiegato per la produzione di topi transgenici, i cui epatociti isolati possano, una volta reimpiantati, essere utilizzati per analisi al microscopio a fluorescenza di sezioni di fegato di topi riceventi.

Allo scopo di testare l'utilità di tale metodo di trapianto come terapia genica somatica per la cura di patologie epatiche di tipo ereditario, la dott.ssa Carraresi si è dedicata alla caratterizzazione di un modello murino per la fenilchetonuria, malattia genetica dovuta alla deficienza di fenilalanina idrossilasi, l'enzima che catalizza la conversione della fenilalanina a tirosina.

Sono stati dosati, in condizioni di dieta normale, i livelli di fenilalanina nel sangue di topi wild type, di topi eterozigoti per la mutazione genetica responsabile della carenza dell'attività fenilalaninaidrossilasica, che mima la patologia umana, e di topi omozigoti per tale mutazione. In tali condizioni risulta che i valori ematici di fenilalanina sono pressoché identici nei topi wild type e negli eterozigoti, mentre risultano dieci volte superiori nei topi omozigoti. Tale dato verrà sfruttato per verificare la capacità di epatociti normali, trapiantati in topi omozigoti per la mutazione, di correggere la patologia.

Contemporaneamente la dott.ssa Carraresi si è dedicata alla creazione di un modello murino di patologia epatica acquisita, su cui saggiare la validità del trapianto di epatociti. In particolare si è cercato di produrre un modello di cirrosi epatica indotto da un agente chimico, il tetracloruro di carbonio (CCl4). Il metodo utilizzato per produrre tale modello è consistito nell'iniettare bisettimanalmente, per 18 settimane, 10 µl/gr di peso corporeo di una soluzione 10% CCl4 in olio di oliva, a topi, il cui beveraggio era costituito da 5% etanolo. Si è monitorato l'effetto dell'agente chimico sia analizzando ogni 2 settimane i valori ematici di alcuni parametri di funzionalitý epatica (GOT, GPT, Bilirubina totale ed Albumina), sia effettuando ogni 4 settimane l'analisi istologica di due fegati prelevati a topi in trattamento.

L'analisi ematica, effettuata per dry-chemistry, dei valori dellíalbumina, ha mostrato una tendenza alla diminuzione della concentrazione di tale proteina nei topi trattati rispetto ai topi di controllo, i cui valori si mantengono pressoché costanti. Tale dato può indicare una diminuzione di funzionalità epatica, in accordo ai dati in letteratura, per cui i valori ematici dell'albumina di pazienti cirrotici risultano più bassi del normale. L'analisi istologica effettuata contemporamente ha mostrato il comparire a circa 8 settimane dall'inizio del trattamento, di lesioni epatiche associate all'inizio di un processo fibrotico, aggravatesi nel progredire del trattamento.

Dopo 18 settimane dallíinizio, il trattamento con CCl4 è stato interrotto per verificare l'irreversibilità del danno indotto. Qualora il danno risulti cronico i topi verranno sottoposti a trapianto di epatociti isolati allo scopo di verificare una reintegrazione della funzionalità epatica.