Il
triangolo della calunnia.
Il
calunniatore: una figura polimorfa
La tesi
cerca di ricostruire non l’aspetto giuridico del reato di calunnia, ma
la psicologia di chi calunnia ed i processi comunicativi, che ne
determinano l’attuazione, sulla base dell’operetta di Luciano di
Samosata conosciuta con il titolo latino Calumniae non temere credendum.
Ciò
dipende dal fatto che non esistono nella letteratura greca altri testi
che affrontino in maniera completa il problema. Benchè infatti si
articoli solo in trentadue brevi capitoli, lo scritto lucianeo assume
l’aspetto di un vero e proprio “trattato” sulla calunnia, in quanto
affronta l’argomento da ogni punto di vista possibile.
La
trattazione, che si divide in quattro capitoli, procede sotto il segno
della metafora: le immagini che Luciano dissemina in tutto il testo
vengono raccolte in gruppi metaforici, che consentono di mettere in
relazione la calunnia con ambiti specifici dell’azione umana.
Nel cap. I vengono presi in esame i rapporti che sussistono tra la diabolè (è questo il termine greco che indica la calunnia) e la retorica, alla quale essa si lega per ragioni naturali, per così dire, ontologiche. Esso insiste sul carattere di danno verbale che assume la calunnia. Molto interessante è il primo paragrafo, intitolato La comunicazione nella calunnia: il triangolo. Ripensando alla teoria della “persona” nel verbo, elaborata nel 1946 da E. Benveniste in Problemi di linguistica generale, in cui si distinguono tre persone (chi parla, colui al quale ci si rivolge e colui che è assente), lo studio applica alla comunicazione calunniosa lo stesso procedimento: chi calunnia (l’ “io” della situazione) è colui che parla, l’ascoltatore (“tu”) è colui al quale ci si volge e il calunniato è colui che è assente, l’oggetto del discorso.
Nel cap. II vengono esposti i motivi e le modalità che legano l’azione del calunniatore a quella teatrale dell’attore. Ciò non stupisce, visto che la calunnia è dominata dalla finzione e dalla verosimiglianza, proprio come avviene in una recita. In questo capitolo possiamo segnalare il paragrafo 2.1.4 Il ritratto della Calunnia, nel quale vengono raccolti alcuni interessanti materiali iconografici, dai quali risulta come gli antichi mettessero in stretto rapporto ^Apƒth, personificazione dell’inganno e Diabol©.
Nei cap. III e IV la calunnia è vista come competizione: nel capitolo III come una guerra senza esclusione di colpi, nella quale sono ammessi imboscate e tranelli (cfr. §§ 3.1 – 3.2); nel capitolo IV come gara sportiva, nella quale non si risparmiano i colpi bassi (per la lotta cfr. §§ 4.2.2 Lo sgambetto; per la corsa cfr. § 4.3.1 L’ostacolo).
Nei cap. I – II – IV la figura del calunniatore viene messa a confronto con alcuni animali: nel capitolo I con la torpedine di mare (§§ 1.7.1), perché chi ascolta la calunnia è incantato e sottoposto ad un intorpidimento simile a quello che provoca tale essere marino; nel capitolo II con il camaleonte (§§ 2.2 e ss) perché il calunniatore si comporta da ipocrita, cambiando colore secondo le circostanze ed infine nel capitolo III con il tafano (§§ 3.5), perché le sue parole sono pungenti e fastidiose come quelle dell’insetto.
Alle conclusioni è lasciato il tentativo di dare qualche risposta a certi interrogativi lasciati irrisolti. In primo luogo quello sollevato da L. M. Lee nell’articolo Slander (diabol©) in Herodotus 7. 10. h and Pindar, Pythian 2,76 in “Hermes”, CVI, 1978, pp. 279 – 283 che si chiede quale o quali siano le vittime della calunnia. Ai suoi dubbi si risponde dicendo che vittime della calunnia sono sia l’ascoltatore che il calunniato; in secondo luogo la questione se la calunnia può essere o no una forma di pettegolezzo. La risposta a cui si giunge è negativa, perché il pettegolezzo ha i caratteri dell’improvvisazione e non di una elaborazione mentale tanto accurata.
La tesi
termina con un indice dei passi citati.