La
nostra vita
e'
immersa nei suoni. Clacson di automobili, squilli di
cellulari, urli o mormorii televisivi, un'infinita' di rumori
e
voci
umane della cui esistenza non ci accorgiamo neppure piu' se non quando,
bruscamente, cessano. La nostra vita si svolge all'interno di una vera
e propria fonosfera. E nel mondo antico? Qual era la fonosfera degli
antichi?
Vengono subito in mente quelle sonorita' che il mondo antico
possedeva e
che
noi, invece, abbiamo perduto, come il colpo di martello dei fabbri, lo
strepito delle macine dei mugnai, il cigolio dei carri, il suono della
frusta per «far di conto». Ancor piu' presenti, pero',
erano le voci
degli animali, ossia latrati, ragli, nitriti, belati, grugniti,
cinguettii, ma anche il caccabare delle pernici, il
iubilare
dei nibbi, il gannire delle volpi, il drindrare
delle donnole. Queste voci risultavano piu' udibili non solo perche' la
fonosfera dei nostri antenati era meno fragorosa della nostra, ma
soprattutto perche' le si voleva ascoltare. Gli antichi le
consideravano
infatti messaggi di buono o cattivo augurio, che predicevano il futuro
o annunciavano le stagioni; mentre i canti degli uccelli, in
particolare, erano capaci di resuscitare nella mente tracce di antichi
miti e di fornire a musicisti e poeti uno straordinario serbatoio di
«memorie sonore». Per riascoltare oggi queste voci
scomparse e le
infinite storie che ancora raccontano, l'unica via da seguire passa
attraverso la testimonianza scritta: bisogna stanarle la'
dove si
nascondono.Questo libro e' dunque un viaggio in un mondo di voci ormai
mute per
sempre. Voci di animali ma anche voci di uomini, voci che non possiamo
piu' udire perche' il tempo le ha ormai inghiottite; ma la cui
registrazione scritta, rintracciata in testi remoti e spesso poco noti,
conserva immagini e memorie di grande fascino. Il risultato e' uno
schizzo di antropologia sonora, una musica piena di ritmo in cui,
ancora per una volta, risuonano canti di uccelli, grida di animali e
lontane parole di uomini. «All'inizio
ci sono state le sonorita' prodotte da un elenco
lessicografico - strana audizione, lo ammetto -, seguite dai "versi"
scanditi da innumerevoli uccelli; poi e' stata la volta delle grida
lanciate dal verro, delle rozze pretese del nibbio, delle
ambiguita'
sonore di lupi e lepri; quindi si sono uditi i giochi di
riarticolazione sonora - merli romani, francolini greci, civette di
varie nazionalita' -, i miti dolorosi cantati da usignoli e
rondini,
di upupe siciliane e pettirossi francesi, la melodiosa poesia delle
pernici, i vaneggiamenti fin troppo veritieri di Cassandra, gli
angelici balbettamenti dei glossolalici o le (pretese) xenoglossie che
si rivolgevano a ogni genere di stranieri; e cosi' via».
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