IL MITO DI CIRCE
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Figlia del Sole e di una ninfa, ambiguamente oscillante fra dea e maga, femme fatale e dama soccorrevole, amante vendicativa e divinità  benigna, prostituta e madre di eroi, signora della natura selvaggia e maestra di raffinati lussi, da secoli la figura di Circe si modula sulla doppia natura dei pharmaka cui è affidato il suo potere: pozioni potenti, in grado di produrre lugubri degradazioni, ma anche luminose sublimazioni, capaci di rendere l'individuo migliore o addirittura di trasformarlo in dio. C'è chi racconta che li trasformasse tutti in maiali prima ancora di chiedere come si chiamassero, chi invece sostiene che prima se li portasse a letto e poi ne mutasse uno in leone, un altro in toro o in ariete o in gallo. Altri dicono infine che non li tramutava affatto, ma semplicemente sapeva rivelare chi già  erano, facendone affiorare la natura nascosta di porci o di asini. La figura di Circe come perfida seduttrice continuerà  a essere composta e ricomposta per secoli fino alle immagini fin de siécle di donna «belva», pronta a invischiare i maschi nella sua sessualità  onnivora e ferina. Il lato positivo del potere di Circe sarà  invece riscoperto dalle artiste del Novecento, per le quali Circe diventa figura della donna moderna, libera e consapevole, capace di contestare gli stereotipi della cultura eroica patriarcale («Non sei stanco di uccidere? - chiede a Odisseo la Circe di Atwood. - Non sei stanco di dire Avanti?»), ma anche simbolo dei rischi di isolamento e delle difficoltà  di comunicazione con l'altro sesso insiti nella nuova condizione femminile.
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